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I cronisti che "ascoltano" la radio della polizia in redazione. Colpevoli? E quanto?
In appello una condanna a quindici mesi e due a sei mesi di reclusione per tre redattori di un giornale telematico di Lecco. E adesso, il 3 giugno, la parola è alla Cassazione
Se i cronisti ascoltano nelle redazioni le trasmissioni in chiaro tra la centrale operativa delle Forze dell'Ordine e le radiomobili in servizio sul territorio sono perseguibili? A rispondere sarà la Corte di cassazione che il prossimo tre giugno metterà la parola fine all'affaire scanner. E sì perché tre giornalisti di "Merateonline" (giornale telematico della Provincia di Lecco), assolti dal Tribunale di Lecco, sono stati condannati dalla Corte di appello di Milano a quindici e a sei mesi di reclusione, per l'ascolto di una frequenza - non criptata e quindi ad onde libere - in uso ai Carabinieri di Merate (Lecco).
Ma facciamo un passo indietro.
La vicenda. Succede il primo agosto del 2002. C'è una piccola redazione (www.merateonline.it) che viene perquisita. All'interno dei locali e nell'auto di un giornalista vengono ritrovate 3 radioline riceventi (per le quali non è necessaria alcuna autorizzazione) e una ricetrasmittente (apparato per il quale invece è richiesto il patentino di radioamatore). La sera stessa viene contattato l'onorevole Antonio Di Pietro (Idv), ex ministro delle Infrastrutture, che difende in primo grado il direttore del quotidiano telematico. Nel 2003 il Tribunale di Lecco assolve con formula piena i tre giornalisti - un direttore e due redattori - perché il fatto non costituisce reato. Ma nel 2007 la Corte di appello meneghina, ribaltando del tutto il verdetto del primo giudice, li condanna a quindici (il direttore e un redattore) e a sei mesi (un giornalista) di reclusione.
Il radioascolto. Gli "scanner" si possono liberamente acquistare e detenere. Con il radioascolto si identifica l'hobby focalizzato sulla ricezione di segnali radio più o meno distanti, generalmente al di fuori del normale bacino di ascolto dei locali servizi di radiodiffusione. A differenza dei radioamatori, il radioascolto non ha bisogno di alcuna autorizzazione, dal momento che non viene effettuata nessuna trasmissione di segnali radio. Che non ci sia bisogno di permesso ad hoc ci è stato confermato anche da un noto rivenditore del Nord. E un altro commerciante del settore che opera nel Centro al quale abbiamo detto di avere dei problemi con i baby call ci ha addirittura consigliato di acquistare delle ricetrasmettenti.
L'ascolto: una risorsa antica. Che l'ascolto delle frequenze delle Forze dell'Ordine sia una risorsa antica nelle redazioni di cronaca lo dimostra anche la lettera che Franco Abruzzo, ex presidente dell'Ordine dei giornalisti, ha chiesto ed ottenuto che si acquisisse agli atti, nella quale si è autoaccusato di ascolto "scanner".
Bisogna fare chiarezza e trovare un punto di equilibrio tra trasparenza e riservatezza. E magari, come suggerisce l'ex Pm di Mani Pulite (vedi intervista a lato), si potrebbero anche stabilire per legge delle deroghe. "Penso, per esempio - dice Di Pietro - ai giornalisti".
La sentenza del Tribunale di Lecco. Secondo il giudice monocratico non è penalmente sanzionabile chi in possesso di radio riceventi in grado di sintonizzarsi sulle onde radio in libero uso abbia ascoltato trasmissioni non criptate. Insomma, gli imputati hanno sentito comunicazioni che per lo strumento utilizzato non erano da ritenersi segrete. Per cui, gli articoli 617, 617bis e 623 Cp tutelerebbero l'inviolabilità non di tutte le comunicazioni ma solo di quelle segrete. Segretezza che deve essere tale da escludere i terzi dalla cognizione della comunicazione.
La pronuncia d'appello. A proposito ma cosa dice la sentenza della Corte di appello di Milano? "Le comunicazioni tra la centrale operativa e le pattuglie radio-mobili della Polizia giudiziaria - sostengono i giudici d'appello - avvengono tramite onde radio omnidirezionali, su frequenze assegnate preventivamente al ministero della Difesa, che la stragrande maggioranza dei cittadini non può captare, proprio perché le apparecchiature in grado di captare tali comunicazioni non sono, ad oggi, in possesso comune dei consociati". Diverso sarebbe stato, si legge ancora nella sentenza, se le comunicazioni fossero state ascoltate attraverso i comuni apparecchi radio in possesso di ogni famiglia media. E "Allora sì, il mezzo utilizzato per le comunicazioni non sarebbe certo in grado di escludere i terzi dall'ascolto dalle comunicazioni e le stesse non avrebbero avuto il carattere della riservatezza".
Non coglie nel segno la circostanza che le radioline scanner siano liberamente acquistate e vendute in commercio. Ne sono convinti i giudici meneghini: del resto, "anche altre apparecchiature in grado di violare la privacy dei cittadini, e idonee per commettere reati di cui agli articoli 617 e ss. Cp, sono liberamente vendute in commercio (anche su Internet) ma nessuno potrebbe far discendere da ciò l'inidoneità dei mezzi utilizzati per comunicare e che quindi le conversazioni non sono riservate".
Allora, perché non vietare in toto la vendita degli "scanner"? Forse la soluzione potrebbe essere questa. Perché, ammonisce l'onorevole Antonio Di Pietro, "Lo Stato non può indurre in tentazione per poi condannare".
Il giudizio in Cassazione. La quinta sezione di Piazza Cavour martedì prossimo dovrà stabilire se è reato o meno l'ascolto delle trasmissioni in chiaro tra le Forze dell'Ordine. Non c'è spazio per alcuna incertezza anche se la fattispecie in esame per il giudice di primo grado non costituisce reato, mentre per la Corte di appello di Milano è da punire con una condanna severa.
Quello che balza agli occhi è che in un momento in cui, come ha denunciato giovedì scorso alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato il Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, viviamo una situazione di "indulto quotidiano" in cui tutti parlano ma nessuno fa, la pesante condanna ai tre giornalisti fa riflettere. E sì perché se in alcuni casi la certezza della pena che trova il consenso unanime della politica, della magistratura, dell'opinione pubblica è quanto di più incerto esista, in altri sembra intervenire in materia esemplare anche su fattispecie di reato che presentano delle contraddizioni in termini. (cri.cap)
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Andrea Borgnino IW0HK
http://www.mediasuk.org/iw0hk
http://www.mediasuk.org/archive
http://www.biciurbana.org
http://iwohk.tumblr.com/
I cronisti che "ascoltano" la radio della polizia in redazione. Colpevoli? E quanto?
In appello una condanna a quindici mesi e due a sei mesi di reclusione per tre redattori di un giornale telematico di Lecco. E adesso, il 3 giugno, la parola è alla Cassazione
Se i cronisti ascoltano nelle redazioni le trasmissioni in chiaro tra la centrale operativa delle Forze dell'Ordine e le radiomobili in servizio sul territorio sono perseguibili? A rispondere sarà la Corte di cassazione che il prossimo tre giugno metterà la parola fine all'affaire scanner. E sì perché tre giornalisti di "Merateonline" (giornale telematico della Provincia di Lecco), assolti dal Tribunale di Lecco, sono stati condannati dalla Corte di appello di Milano a quindici e a sei mesi di reclusione, per l'ascolto di una frequenza - non criptata e quindi ad onde libere - in uso ai Carabinieri di Merate (Lecco).
Ma facciamo un passo indietro.
La vicenda. Succede il primo agosto del 2002. C'è una piccola redazione (www.merateonline.it) che viene perquisita. All'interno dei locali e nell'auto di un giornalista vengono ritrovate 3 radioline riceventi (per le quali non è necessaria alcuna autorizzazione) e una ricetrasmittente (apparato per il quale invece è richiesto il patentino di radioamatore). La sera stessa viene contattato l'onorevole Antonio Di Pietro (Idv), ex ministro delle Infrastrutture, che difende in primo grado il direttore del quotidiano telematico. Nel 2003 il Tribunale di Lecco assolve con formula piena i tre giornalisti - un direttore e due redattori - perché il fatto non costituisce reato. Ma nel 2007 la Corte di appello meneghina, ribaltando del tutto il verdetto del primo giudice, li condanna a quindici (il direttore e un redattore) e a sei mesi (un giornalista) di reclusione.
Il radioascolto. Gli "scanner" si possono liberamente acquistare e detenere. Con il radioascolto si identifica l'hobby focalizzato sulla ricezione di segnali radio più o meno distanti, generalmente al di fuori del normale bacino di ascolto dei locali servizi di radiodiffusione. A differenza dei radioamatori, il radioascolto non ha bisogno di alcuna autorizzazione, dal momento che non viene effettuata nessuna trasmissione di segnali radio. Che non ci sia bisogno di permesso ad hoc ci è stato confermato anche da un noto rivenditore del Nord. E un altro commerciante del settore che opera nel Centro al quale abbiamo detto di avere dei problemi con i baby call ci ha addirittura consigliato di acquistare delle ricetrasmettenti.
L'ascolto: una risorsa antica. Che l'ascolto delle frequenze delle Forze dell'Ordine sia una risorsa antica nelle redazioni di cronaca lo dimostra anche la lettera che Franco Abruzzo, ex presidente dell'Ordine dei giornalisti, ha chiesto ed ottenuto che si acquisisse agli atti, nella quale si è autoaccusato di ascolto "scanner".
Bisogna fare chiarezza e trovare un punto di equilibrio tra trasparenza e riservatezza. E magari, come suggerisce l'ex Pm di Mani Pulite (vedi intervista a lato), si potrebbero anche stabilire per legge delle deroghe. "Penso, per esempio - dice Di Pietro - ai giornalisti".
La sentenza del Tribunale di Lecco. Secondo il giudice monocratico non è penalmente sanzionabile chi in possesso di radio riceventi in grado di sintonizzarsi sulle onde radio in libero uso abbia ascoltato trasmissioni non criptate. Insomma, gli imputati hanno sentito comunicazioni che per lo strumento utilizzato non erano da ritenersi segrete. Per cui, gli articoli 617, 617bis e 623 Cp tutelerebbero l'inviolabilità non di tutte le comunicazioni ma solo di quelle segrete. Segretezza che deve essere tale da escludere i terzi dalla cognizione della comunicazione.
La pronuncia d'appello. A proposito ma cosa dice la sentenza della Corte di appello di Milano? "Le comunicazioni tra la centrale operativa e le pattuglie radio-mobili della Polizia giudiziaria - sostengono i giudici d'appello - avvengono tramite onde radio omnidirezionali, su frequenze assegnate preventivamente al ministero della Difesa, che la stragrande maggioranza dei cittadini non può captare, proprio perché le apparecchiature in grado di captare tali comunicazioni non sono, ad oggi, in possesso comune dei consociati". Diverso sarebbe stato, si legge ancora nella sentenza, se le comunicazioni fossero state ascoltate attraverso i comuni apparecchi radio in possesso di ogni famiglia media. E "Allora sì, il mezzo utilizzato per le comunicazioni non sarebbe certo in grado di escludere i terzi dall'ascolto dalle comunicazioni e le stesse non avrebbero avuto il carattere della riservatezza".
Non coglie nel segno la circostanza che le radioline scanner siano liberamente acquistate e vendute in commercio. Ne sono convinti i giudici meneghini: del resto, "anche altre apparecchiature in grado di violare la privacy dei cittadini, e idonee per commettere reati di cui agli articoli 617 e ss. Cp, sono liberamente vendute in commercio (anche su Internet) ma nessuno potrebbe far discendere da ciò l'inidoneità dei mezzi utilizzati per comunicare e che quindi le conversazioni non sono riservate".
Allora, perché non vietare in toto la vendita degli "scanner"? Forse la soluzione potrebbe essere questa. Perché, ammonisce l'onorevole Antonio Di Pietro, "Lo Stato non può indurre in tentazione per poi condannare".
Il giudizio in Cassazione. La quinta sezione di Piazza Cavour martedì prossimo dovrà stabilire se è reato o meno l'ascolto delle trasmissioni in chiaro tra le Forze dell'Ordine. Non c'è spazio per alcuna incertezza anche se la fattispecie in esame per il giudice di primo grado non costituisce reato, mentre per la Corte di appello di Milano è da punire con una condanna severa.
Quello che balza agli occhi è che in un momento in cui, come ha denunciato giovedì scorso alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato il Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, viviamo una situazione di "indulto quotidiano" in cui tutti parlano ma nessuno fa, la pesante condanna ai tre giornalisti fa riflettere. E sì perché se in alcuni casi la certezza della pena che trova il consenso unanime della politica, della magistratura, dell'opinione pubblica è quanto di più incerto esista, in altri sembra intervenire in materia esemplare anche su fattispecie di reato che presentano delle contraddizioni in termini. (cri.cap)
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Andrea Borgnino IW0HK
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