Un bell'articolo su Radio RASD apparso ieri su repubblica:
Alle otto della sera Hassan, Hamid e Aslamhum caricano le coperte su un Pickup arrugginito, prendono al volo i narghilè e si addentrano verso il deserto. E' buio pesto lungo il Saquia el Hamra, rocce di tufo che si perdono all' orizzonte, improvvise oasi di montagna, torrenti scavati nella pietra e dune di sabbia alte come onde del mare. Superato il canyon, a pochi chilometri dal porto industriale nel quale vengono imbarcati i fosfati di Bucraa, l' oro nero di un deserto che qui è povero di petrolio, si sale fino a una porta di cemento sommersa dai cespugli. E' un' atmosfera da Mille e una notte: le tende berbere piantate tra le palme, uomini dall' età indefinita che pascolano i cammelli, il capo avvolto dal chèche, l' immancabile velo nero dei saharawi. Non sono guerriglieri del Fronte Polisario, l' organizzazione che da 35 anni si batte per l' indipendenza dal Marocco, ma pastori e contadini che nutrono una speranza: quella che un giorno il loro popolo possa vivere in condizioni migliori, libero dalla sovranità di Rabat. «Perché il deserto è di chi lo abita, non di chi impone la sua forza», spiega Mohammed, il capo della tribù. Nella sua tenda, al centro del villaggio, Mohammed raccoglie rametti di acacia per rinnovare il fuocoe preparare il tè. Hassan, invece, smanetta un pezzo di ferro che solo con l' immaginazione si potrebbe definire "antenna". E invece, magicamente, qualche secondo dopo la voce di uno speaker si materializza da una scatoletta di legno attaccata a due altoparlanti. E' Radio Rasd, l' emittente della Repubblica Araba Democratica Saharawi, bandita da tutte le frequenze marocchine ma trasmessa sui 1550 kHz delle onde medie e sui 6300 kHz delle onde corte: «Non sono frequenze regolari, è ovvio - ride Hamid - questa è la radio pirata del deserto». Prima si poteva ascoltarla su Internet, ma adesso il Marocco ha censurato tutti i siti pro-Saharawi e Hassan, che di mestiere fa l' elettricista, ha costruito un aggeggio che riesce a captare le facilities algerine e porta la voce della rivoluzione anche in questo scenario da sbarco sulla Luna. «La Rasd trasmette in araboe in spagnolo. A volte al microfono si alternano i guerriglieri del Fronte che per informare il loro popolo scelgono il dialetto hassanya, quello che i saharawi parlano da secoli, da quando qui approdarono i Maquil fuggiti dallo Yemen», spiega il capo del villaggio. I ragazzi di Laayoun preferiscono lasciare la cittàe addentrarsi nel deserto per evitare di essere scoperti quando ascoltano la radio pirata: «Ma anche perché qui il segnale è perfetto - aggiunge Hassan - mentre nelle città i marocchini disturbano le frequenze. Nessuno ci controlla e possiamo ballare al ritmo della nostra musica preferita». Già, perché la Rasd, come tutte le emittenti che si rispettano, alterna l' informazione ai dischi. E, tra una notizia e l' altra, manda in onda i pezzi dei gruppi più popolari tra i saharawi. «Sono gruppi ribelli, come questi, i Tinariwen, i migliori», spiega Aslamhum. E' una band del Mali, la loro musica si chiama Tishoumaren e mescola blues, rock, chaabi marocchino e ritmi tradizionali Tuareg. «Suonavano negli accampamenti dei profughi Tamashek negli anni Ottanta, adesso li puoi sentire a Tindouf, in Algeria, dove vivono 200 mila saharawi, molti vecchi, donne e bambini, in condizioni disastrose», racconta Hamid. I loro testi sono un misto di nostalgia e propaganda, storie d' amore e di famiglie divise dalla guerra, di torture e giustizia sommaria per chi si batte per il deserto. Ai più anziani, invece, piace soprattutto Ummkaltum, una cantante melodica araba: «Come l a v o s t r a M i n a » , s o r r i d e Aslamhum. Nei giorni in cui la pasionaria saharawi Aminatu Haidar era bloccata all' aeroporto di Lanzarote, nelle Canarie, e faceva lo sciopero della fame contro il governo di Rabat, Hassan, Hamid e Aslamhum venivano ogni sera qui per sintonizzarsi su Radio Rasd: «Era l' unico modo per sapere la verità visto che la tv marocchina ha sempre distorto i fatti. La notte in cui Rabat ha ceduto e Aminatu è potuta tornare a casa, abbiamo festeggiato in questo villaggio. Le donne e i bambini si sono svegliati, ci siamo messi a cantare e ballar». È quasi l' alba quando dalla scatoletta di legno arriva confuso l' inno dei Saharawi. Il segnale si perde, cambiano le frequenze. «Sanno che le autorità marocchine li ascoltano - dice Hassan - devono stare attenti. Ma poi, come ogni sera, si trasformano in pirati dell' etere. E noi torneremo qui a sentire l' unica voce del Sahara libero». © RIPRODUZIONE RISERVATA -
DAL NOSTRO INVIATO LUCIO LUCA LAAYOUN (Sahara Occidentale)
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Andrea Borgnino IW0HK - HB9EMK
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