Articolo 15/02/2006
L'omologazione italiana dei ricevitori di radiodiffusione: un vulnus
illegittimo del "diritto al radioascolto"
SOMMARIO
1. IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO
2. LA LEGISLAZIONE SULLE RADIODIFFUSIONI
3. LA NORMATIVA NAZIONALE SUI RADIODISTURBI: I DECRETI MINISTERIALI 25.6.1985 E
27.8.1987
4. UN PARAGRAFO DI TROPPO
5. IL DECRETO MINISTERIALE 28.8.1995, N. 548: UN'ABILE OPERA DI
“IMBALSAMAZIONE”
6. IL PIANO NAZIONALE DI RIPARTIZIONE DELLE FREQUENZE
7. I RADIODISTURBI ED IL NUOVO CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE
8. IL TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE
9. LA LIMITAZIONE ALLE FREQUENZE RICEVIBILI DAI RICEVITORI DI RADIODIFFUSIONE:
UNA NORMATIVA ILLEGITTIMA
10. LE NUOVE TECNICHE DI TRASMISSIONE
11. UNA SPERANZA DALL'UNIONE EUROPEA
12. CONCLUSIONI
1. IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO
All'interno del più generale diritto di libertà di pensiero, la giurisprudenza
della Corte costituzionale italiana (sentenze 22 gennaio 1981, n. 1 e 24-26
marzo 1993, n. 112) ha enucleato l'autonomo concetto di diritto
all'informazione, che si articola in diritto di informare, diritto di
informarsi e diritto di essere informati.
Riteniamo che l'ordinamento giuridico italiano tuteli anche il diritto al
radioascolto, che definiamo come il diritto di informarsi e di essere informati
mediante la radiodiffusione circolare (in inglese broadcasting), cioè grazie
all'ascolto – libero e tutelato dalla legge – delle emittenti radiofoniche di
tutto il mondo.
Ciascuno di noi - più o meno consapevolmente - è un BCL (broadcasting
listener), termine coniato dagli appassionati del radioascolto per indicare
l'ascoltatore delle stazioni di radiodiffusione, in particolare di quelle
straniere. Ebbene, in Italia tale sterminata categoria di radioascoltatori
corre il rischio di violare la legge: questo può avvenire ascoltando frequenze
non consentite mediante l'utilizzo di normalissimi ricevitori, costruiti e
messi in commercio per l'ascolto delle stazioni di radiodiffusione
internazionale.
Come può essere che con un normalissimo ricevitore delle onde
corte-medie-lunghe o della modulazione di frequenza, si rischi di ascoltare
qualcosa di vietato? E' l'argomento di quest'articolo, naturale prosecuzione
del precedente “L'omologazione dei ricevitori di radiodiffusione: fonti
normativa e soggetti”, pubblicato il 6 giugno 2005 nel n. 143 di Filodiritto.
2. LA LEGISLAZIONE SULLE RADIODIFFUSIONI
I cittadini appartenenti ai Paesi CEPT possono “detenere ed usare le
apparecchiature radio, portatili o veicolari, solo riceventi, per i servizi di
radiodiffusione, di radiodeterminazione e di radioamatore, nonché per il servizio
mobile a scopo di teleavviso personale”. La CEPT (Conferenza Europea delle
Amministrazioni delle Poste e delle Telecomunicazioni) è l'organizzazione
regionale europea di cui si è parlato nell'articolo citato al paragrafo 1.
Questo è quanto prevede il D.P.R. 27.1.2000, n. 64 (Regolamento recante norme
per il recepimento di decisioni della CEPT in materia di libera circolazione di
apparecchiature radio). Non appena tale decreto venne emanato, tra i praticanti
l'hobby del radioascolto subito si diffuse un sentimento di generale
soddisfazione per una norma che avrebbe dovuto rendere certo e garantito una
volta per tutte il diritto di ascolto delle radiodiffusioni.
Ricordiamo che la normativa italiana (un esempio per tutti, la legge 6.8.1990,
n. 223 meglio nota come “legge Mammì”) opera la suddivisione tra
radiodiffusione sonora e radiodiffusione televisiva, anche se ora si preferisce
distinguere tra “trasmissione televisiva” e “trasmissione radiofonica” (vedi la
legge 3 maggio 2004, n. 112, c.d. “legge Gasparri”).
Il vigente “Codice delle Comunicazioni elettroniche” (approvato con D.lgs.
1.8.2003, n. 259) utilizza anche i termini “diffusione circolare dei programmi
sonori e televisivi” e " diffusione circolare radiotelevisiva".
Anche il recentissimo "Testo unico della radiotelevisione",
promulgato con D.lgs. 31 luglio 2005, n.177, distingue tra radiodiffusione
sonora e televisiva.
La sentenza della Corte costituzionale n. 225/1974 parlò invece di
"radiotelediffusione circolare", mentre la sentenza n. 112/1993 coniò
i termini "radiotelecomunicazione circolare" e
"radiotrasmissione televisiva".
In altre parole, il linguaggio giuridico ha preso atto che le trasmissioni
televisive altro non sono che emissioni di segnali radio. A tale proposito,
segnaliamo che i documenti dell'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni
(ITU) parlano di sound broadcasting (BC) e di television broadcasting (BT).
Riteniamo che qualunque azione repressiva contro i BCL (motivata con norme di
vecchi o nuovi codici) fosse e sia tuttora contraria alla “legislazione vigente
sulle radiodiffusioni” e che il D.P.R. 64/2000 giunse certamente graditissimo
in una Nazione che tuttavia – proprio per le leggi già in vigore - non ne
avrebbe dovuto sentire il bisogno.
Questa affermazione trova fondamento nel vecchio codice postale del 1973
(D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), all'art. 411 (Legislazione sulle
radiodiffusioni: “Nulla è innovato nella legislazione vigente sulle
radiodiffusioni”) non abrogato dal vigente Codice delle comunicazioni elettroniche.
Esiste pertanto una legislazione specifica per le radiodiffusioni, diversa non
solo da quella del Codice postale ma anche da quella dettata dal Codice 2003.
Crediamo sia possibile rinvenire tale normativa nelle seguenti fonti:
n Regio decreto-legge 21.2.1938, n. 246 (Disciplina degli abbonamenti alle
radioaudizioni): disciplina nel dettaglio l'obbligo di pagamento del canone di
abbonamento,
n Regio decreto 8.7.1938, n. 1415 (Approvazione dei testi della legge di guerra
e della legge di neutralità): prevede la possibilità di imporre restrizioni al
diritto al radioascolto, limitatamente però al periodo bellico,
n Regio decreto 16.6.1940, n. 765 e Decreto legislativo luogotenenziale
3.4.1945, n. 152: disposizioni a carattere transitorio che diedero
rispettivamente inizio e fine al regime giuridico di divieto al radioascolto di
molte emittenti radiofoniche straniere durante la seconda guerra mondiale.
Recentemente è stato emanato il D.lgs. 31 luglio 2005, n.177 (Testo unico della
radiotelevisione), di cui parleremo oltre al paragrafo 8.
E' possibile pertanto affermare che certamente vi è stato - nella storia
d'Italia - un periodo (la seconda guerra mondiale) durante il quale – in virtù
di norme aventi rango primario - fu proibito l'ascolto di emittenti BC sia
degli Stati nemici (per esempio Radio Londra o Radio Mosca) così come di quelli
neutrali (per esempio la Radio Svizzera): ma solamente tale periodo, non prima
(pur tra adempimenti burocratici e difficoltà pratiche) e tanto meno adesso che
siamo in democrazia.
Infatti, gli adempimenti legati alla corresponsione del canone di abbonamento –
rimasti sostanzialmente invariati prima e dopo la guerra – sono certamente da
vedere con sfavore nei confronti del pieno diritto al radioascolto; ad ogni
modo – una volta soddisfatti – gli obblighi del radioascoltatore sono
terminati.
Le leggi italiane, quindi, non vietano in alcun modo il radioascolto. Ma le
nostre Autorità – che agiscono mediante atti di normazione secondaria - lo
sanno?
A tale proposito, osserviamo che fino a non molto tempo fa gli apparecchi
radioricevitori riportavano un bollino di omologazione, indicante i decreti del
Ministero delle Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987. Sono tali
decreti ancora in vigore?
3. LA NORMATIVA NAZIONALE SUI RADIODISTURBI: I DECRETI MINISTERIALI 25.6.1985 E
27.8.1987
A prima vista, si potrebbe dire che i due decreti ministeriali siano stati
implicitamente abrogati in virtù del principio generale di libertà sotteso dal
DPR 64/2000. Purtroppo, l'entusiasmo per il contenuto delle disposizioni
dell'articolo 1 ha fatto passare in secondo piano quanto affermato dal
successivo articolo 2, il cui primo comma afferma che nei confronti dei
cittadini dei Paesi CEPT - in visita od in transito in Italia – che detengano
ed usino le apparecchiature radio (comprese quelle solo riceventi per i servizi
di radiodiffusione) “è fatta salva la normativa in materia di prevenzione ed
eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni.” La formulazione del comma
non deve trarre in inganno: l'indicazione dei destinatari (cittadini dei Paesi
CEPT, in visita od in transito in Italia) sta a significare l'estensione ad
essi della normativa in materia di radiodisturbi già in vigore per i residenti
in Italia, e non certo la previsione di una posizione giuridica di (ulteriore)
svantaggio rispetto a questi ultimi.
Qual è questa normativa? Nell'articolo citato in premessa abbiamo esaminato una
direttiva dell'Unione europea, la 1999/5/CE (nota anche come Direttiva
R&TTE), riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali
di telecomunicazioni ed il reciproco riconoscimento della loro conformità. Tale
norma comunitaria - recepita dall'Italia con il decreto legislativo 9.5.2001,
n. 269 – all'articolo 1 detta le seguenti definizioni a valenza interpretativa:
a) apparecchio: qualsiasi apparecchiatura che sia un'apparecchiatura radio o
un'apparecchiatura terminale di telecomunicazione o entrambe,
c) apparecchiatura radio: un prodotto, o un su componente essenziale, in grado
di comunicare mediante l'emissione e la ricezione di onde radio impiegando lo
spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali,
d) onde radio: onde elettromagnetiche di frequenza compresa tra 9 kHz e 3000
GHz, che si propagano nello spazio senza guida artificiale,
k) interferenze dannose: interferenze che pregiudicano il funzionamento di un
servizio di radionavigazione o di altri servizi di sicurezza o che deteriorano
gravemente, ostacolano o interrompono ripetutamente un servizio di radiocomunicazione
che opera conformemente alle normative comunitarie o nazionali applicabili,
mentre all'articolo 8 (libera circolazione degli apparecchi) dispone che “Non è
vietata, limitata o impedita l'immissione sul mercato e la messa in servizio di
apparecchi recanti la marcatura CE che ne indica la conformità alle
disposizioni del presente decreto.”
Quali sono dette disposizioni, nei confronti delle quali gli apparecchi devono
essere conformi? L'articolo 13 (marcatura CE) rinvia all'articolo 3 (requisiti
essenziali), il quale ultimo elenca i requisiti che devono essere posseduti da
tutti gli apparecchi oppure solo da determinate categorie o tipi.
Mentre i requisiti essenziali “specifici” non sono pertinenti ai semplici
ricevitori BC, i requisiti essenziali“ generali” sono:
- la protezione della salute e della sicurezza dell'utente o di qualsiasi altra
persona (compresi quelli della direttiva
LVD),
- la protezione per quanto riguarda la compatibilità elettromagnetica (già
previsti dalla direttiva EMC).
Le due direttive sono state esaminate nell'articolo di Filodiritto citato nel
paragrafo 1.
A tale proposito, rileviamo che da alcuni anni i ricevitori BC in vendita in
Italia riportano – in rilievo sull'esterno dell'apparecchiatura oppure su una
placca di identificazione – non più il bollino con citati i due D.M. del 1985 e
del 1987 bensì il marchio “CE”.
Sembrerebbe allora che l'omologazione ai due decreti ministeriali sia stata
sostituita da quella indicata mediante marcatura CE. Questa conclusione è però
errata.
Sappiamo, infatti, che il combinato disposto dell'art. 2, comma 4 con
l'allegato I del D.lgs. 269/2001 esclude recisamente la propria applicazione
“alle apparecchiature radio di sola ricezione utilizzate esclusivamente per
ricevere servizi di radiodiffusione sonora e televisiva”. Ma, allora, da cosa è
costituita la normativa in materia di prevenzione ed eliminazione dei disturbi
alle radiocomunicazioni applicabile ai nostri ricevitori BC? Come vedremo nel
prossimo paragrafo, i due D.M. Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987
sono in parte ancora vigenti nel nostro ordinamento giuridico. Per rispondere
alla domanda, siamo quindi costretti a prenderli in esame.
4. UN PARAGRAFO DI TROPPO
Il Codice postale del 1973 conteneva l'articolo 398 (Prevenzione ed
eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni) – ora
abrogato e sostituito dall'art. 210 del Codice 2003 – il quale subordinava
anche il semplice utilizzo di apparecchi radioelettrici al rispetto delle norme
stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle
radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.
Riportiamo di seguito il testo dell'articolo, come modificato dalla legge 22
maggio 1980, n.209, mentre l'esame dell'art. 210 del nuovo Codice verrà effettuato
nel paragrafo 7:
Art. 398 (Prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed
alle radioricezioni) E' vietato costruire od importare nel territorio
nazionale, a scopo di commercio, usare od esercitare, a qualsiasi titolo,
apparati od impianti elettrici, radioelettrici o linee di trasmissione di
energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per
la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.
All'emanazione di dette norme, che determinano anche il metodo da seguire per
l'accertamento della rispondenza, si provvede con decreto del Ministro delle
Poste e delle Telecomunicazioni, di concerto con il Ministro dell'industria,
del commercio e dell'artigianato, in conformità alle direttive delle Comunità
europee (…).
Il testo originario dell'articolo 398 era il seguente: “E' vietato costruire od
importare, a scopo di commercio nel territorio nazionale, usare od esercitare,
a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici, radioelettrici, o linee di
trasmissione di energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la
prevenzione e per l'eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle
radioricezioni.
All'emanazione di dette norme si provvede con decreto del Presidente della
Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro per le poste e le telecomunicazioni.
Nelle norme di cui al primo comma verrà determinato il metodo da seguire per
l'accertamento della rispondenza, nonché, eventualmente, per la apposizione di
un contrassegno che la certifichi.
L'immissione in commercio e l'importazione a scopo di commercio sono
subordinate alla certificazione di rispondenza, rilasciata dall'Amministrazione
delle poste e delle telecomunicazioni.”
Le norme - dettate per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi -
giunsero a distanza di tempo con il Decreto Ministeriale Poste e
Telecomunicazioni 25.6.1985 (Disposizioni per la prevenzione e la eliminazione
dei radiodisturbi provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e
televisiva, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 171
del 22 luglio 1985). E allora sorsero notevoli problemi d'interpretazione:
1) l'oggetto del provvedimento: il codice postale aveva previsto l'emanazione
di un decreto contenente disposizioni aventi lo scopo di “prevenzione ed
eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni”. Nel
decreto del 1985, invece, esse sono divenute disposizioni destinate a “la
prevenzione e l'eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai
ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”.
2) le norme tecniche: l'articolo 1 del decreto dispone che l'allegato A al
decreto riporti “le norme per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi
alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni, provocati dai ricevitori di
radiodiffusione sonora e televisiva, nonché per l'immunità degli stessi
ricevitori dai disturbi”. Nell'allegato invece troviamo:
► requisiti minimi nei confronti dei disturbi
► requisiti minimi per l'immunità
► relativi metodi di misura
► prescrizioni relative alle frequenze (paragrafo 3)
In considerazione della quasi integrale disapplicazione (come vedremo al
paragrafo 5) di quanto disposto dal decreto del 1985, è ormai pressoché impossibile
reperire – sia in rete che nei supporti cartacei o informatici - il testo
integrale e, in particolare, l'allegato A oggetto del presente studio.
Riportiamo pertanto anche l'intero documento, così come pubblicato in Gazzetta
Ufficiale.
Osserviamo che - nonostante la chiarezza della rubrica dell'articolo 398 del
codice – entrambi i decreti contengono nei propri allegati un paragrafo (il
numero 3) contenente “prescrizioni relative alle frequenze utilizzabili in
Italia dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”.
L'articolo 1, invece, precisa che le norme (tecniche) per la prevenzione e per
la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni sono
quelle stabilite nell'allegato A al decreto, riportandone anche il seguente
sommario:
- prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle
radioricezioni (riportata
poi al paragrafo 4 - radiodisturbi prodotti dai ricevitori di radiodiffusione
sonora e televisiva);
- immunità dei ricevitori dai disturbi (riportata poi ai paragrafi 5 - immunità
interna e 6 –
immunità esterna).
Il paragrafo 2 (campo di applicazione) del decreto si premura invece di
precisare che “sono compresi nel campo di applicazione delle presenti norme
anche i ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva che sono combinati
con altri apparecchi (ad esempio giradischi, registratori, orologi digitali,
ecc.) oppure che siano costituiti da più parti separate (ad esempio
sintonizzatore ed amplificatore, ecc.).”
L'articolo 1, quindi, non fa alcun cenno alle prescrizioni relative alle
frequenze che dal nulla, invece, compaiono al paragrafo 3: per l'appunto, un
paragrafo di troppo!
Cosa c'entrino i limiti delle bande di frequenze captabili da semplici
ricevitori con la prevenzione dei disturbi radioelettrici, è veramente un
mistero. Mistero reso ancora più fitto dal fatto che l'articolo 398 del Codice
1973 richiedeva soltanto la prevenzione e l'eliminazione dei disturbi e
nient'altro. Parimenti, nemmeno il preambolo al decreto ministeriale faceva il
benché minimo riferimento ad una necessità di porre limiti alle frequenze
ricevibili.
Vediamo tali limiti, riportati alla tabella I del paragrafo 3 del decreto:
gamma
|
limiti di frequenza
|
tolleranze (kHz)
|
onde lunghe
|
148,5 - 283,5 kHz
|
0 / -20 20 / 0
|
onde medie
|
526,5 - 1606,5 kHz
|
0 / -20 50 / 0
|
onde corte
|
3950 - 26100 kHz
|
0 / -160 300 / 0
|
onde metriche
|
87,5 - 108 MHz
|
0 / -300 500 / 0
|
Nota: il limite di 283,5 kHz per le onde lunghe può essere esteso a 343 kHz per
i ricevitori predisposti per la ricezione dei canali di filodiffusione.
Al decreto del 25 giugno 1985 se ne aggiunse un altro in data 27 agosto 1987
(“Revisione della normativa per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi
provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 31 agosto 1987). Quest'ultimo
provvedimento, però, non ha apportato alcuna apertura sui limiti delle bande di
frequenza sintonizzabili (anzi, mediante la disapplicazione dei limiti interni,
consente addirittura una restrizione delle gamme d'onda sintonizzabili mediante
i semplici ricevitori a batteria). Ecco perché detto decreto era indicato,
assieme al primo, nel bollino di omologazione applicato ai ricevitori BC. Il
D.M. del 1987 era stato preceduto dai due adottati in data 22 febbraio 1986
(Proroga dell'immissione in commercio degli apparati sprovvisti della
certificazione di rispondenza alle norme) e 8 agosto 1986 (Proroga del termine
per l'effettuazione di limitate prove di rispondenza).
Riportiamo per completezza l'unica variazione apportata al paragrafo 3,
integrativa della nota in calce alla tabella I:
“Le prove si eseguono con eventuale circuito CAF disinserito. Con ricevitori
privi di morsetti d'antenna o con CAF non disinseribile, le prove vanno
eseguite al limite di sensibilità.
Per i ricevitori di radiodiffusione sonora di tipo sintetizzato, controllati a
quarzo o da dispositivi di analoga stabilità (per es. ceramici), non è necessario
il rispetto delle tolleranze interne della tabella I (“0 kHz”), purché essi
siano in grado di ricevere su tutte le frequenze portanti oggetto di
canalizzazione internazionale (vedasi CARR GENEVA 1975 e CARR GENEVA 1984).
I limiti interni inferiori e superiori 0 (zero) di tabella I non vengono
applicati per i ricevitori di sintonia continua MF, MA e MF + MA aventi le
seguenti caratteristiche: privi di morsetti d'antenna – senza alimentazione da
rete – con un altoparlante e/o cuffie.”
5. IL DECRETO MINISTERIALE 28.8.1995, N. 548: UN'ABILE OPERA DI
“IMBALSAMAZIONE”
Restava solo una speranza di eliminare tali assurde limitazioni alle frequenze
ricevibili: l'Europa e le sue direttive. Infatti, il preambolo del D.M.
25.6.1985 riconosceva “la necessità di stabilire, in attesa della emanazione
delle direttive comunitarie, le norme tecniche cui devono rispondere i
ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva per la prevenzione e
l'eliminazione dei disturbi alle radioricezioni ed alle radiotrasmissioni e per
l'immunità dai disturbi sugli stessi ricevitori e di determinare il metodo da
seguire per l'accertamento della rispondenza alle norme stesse”. Ciò in
ossequio al citato articolo 398 del Codice 1973, il quale disponeva che il
decreto venisse adottato in conformità alle direttive delle Comunità europee.
Tra le direttive emanate successivamente ai due decreti in esame, prendiamo in
esame la 1989/336/CEE (c.d. direttiva EMC: ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica), recepita
dall'Italia con decreto legislativo 4.12.1992, n. 476. Questa direttiva è stata
poi modificata e integrata dalle successive 1992/31, 1993/68 e 1993/97. Il
nostro legislatore ha infine recepito tutto il complesso normativo mediante il
decreto legislativo 12.11.1996, n. 615 (che ha abrogato il d.lgs. 476/1992). Il
tema delle direttive comunitarie in materia di radiocomunicazioni è stato
affrontato nel precedente articolo pubblicato nel n. 143 di Filodiritto.
Preliminarmente è necessario verificare se tale direttiva sia relativa alla
materia disciplinata dai due decreti ministeriali. Per far ciò, ci aiutiamo con
alcune delle definizioni contenute nell'articolo 1 del decreto 476:
- disturbi elettromagnetici: fenomeni elettromagnetici che possono alterare il
funzionamento di un dispositivo, di un'apparecchiatura o di un sistema (lettera
b);
- immunità: idoneità di un dispositivo, di un'apparecchiatura o di un sistema a
funzionare in presenza di disturbi elettromagnetici senza pregiudizio per le
sue prestazioni (lettera c).
- compatibilità elettromagnetica: idoneità di un dispositivo, di
un'apparecchiatura o di un sistema a funzionare nel proprio ambiente
elettromagnetico in modo soddisfacente senza introdurre disturbi elettromagnetici
inaccettabili per tutto ciò che si trova in tale ambiente (lettera d).
Termini diversi (disturbi elettromagnetici anziché disturbi radioelettrici) da
quelli dei due decreti ministeriali del 1985 e 1987, però ricompresi l'uno
nell'altro. E' la direttiva che attendevamo? Certamente sì, e su questo
concordava il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni il quale, nel
successivo decreto 28 agosto 1995, n. 548 (Regolamento concernente la
prevenzione e l'eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai
ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva, pubblicato in Gazzetta
Ufficiale n. 301 del 28 dicembre 1995) all'art. 1 afferma che “la compatibilità
elettromagnetica dei ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva è
accertata mediante le procedure indicate dal decreto legislativo 4 dicembre
1992, n. 476.”
La direttiva comunitaria è quindi subentrata ai due decreti ministeriali,
sostituendo alla normativa nazionale quella comunitaria. Tale disapplicazione
non è stata però integrale: infatti, per quanto riguarda le prescrizioni
relative alle frequenze, la premessa al decreto 548 afferma:
“considerato che le disposizioni relative alle frequenze di cui al paragrafo 3
dell'allegato A al decreto ministeriale 25 giugno 1985 ed al paragrafo 3 dell'allegato
1 al decreto ministeriale 27 agosto 1987 non sono state modificate dal decreto
legislativo 4 dicembre 1992, n. 476;
considerato che sussiste l'esigenza di mantenere le prescrizioni relative alle
frequenze dettate dai menzionati decreti 25 giugno 1985 e 27 agosto 1987”.
Con quali obiettivi, invece, la Commissione europea aveva adottato la direttiva
EMC? Nel preambolo della direttiva medesima, viene affermato il principio in
virtù del quale “il diritto comunitario allo stato attuale prevede che, in
deroga ad una delle regole fondamentali della Comunità che è la libera
circolazione delle merci, si ammettano ostacoli alla circolazione comunitaria
risultanti dalle disparità delle legislazioni nazionali relative alla
commercializzazione dei prodotti, qualora tali disposizioni possono essere
riconosciute come necessarie al fine di soddisfare esigenze imperative…”.
Quali sarebbero, però, le “esigenze imperative” individuate dallo Stato
italiano? Lo abbiamo appena letto nel D.M. 548/1995, in un'affermazione del
tutto autoreferenziale: “sussiste l'esigenza di mantenere le prescrizioni
relative alle frequenze” che possiamo ascoltare con i ricevitori delle bande
della radiodiffusione circolare!
La disciplina relativa ai radiodisturbi, contenuta nei due decreti ministeriali
del 1985 e 1987, è stata disapplicata e sostituita da quella contenuta nella
direttiva EMC; non però le “prescrizioni relative alle frequenze” dei
ricevitori di radiodiffusione sonora, mantenute in vigore (o, meglio,
“imbalsamate”) dal D.M. 548 del 1995 mediante l'art. 2, comma 1 il quale
recita: “Le prescrizioni relative alle frequenze utilizzabili in Italia dai
ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva sono quelle indicate nel
paragrafo 3 dell'allegato A al decreto ministeriale 25 giugno 1985 e nel
paragrafo 3 dell'allegato 1 al decreto ministeriale 27 agosto 1987, citati
nelle premesse.”
Per quale motivo, allora, nei negozi italiani sono in libera vendita apparecchi
ricevitori delle bande di radiodiffusione, muniti non più del bollino
riportante l'indicazione dei due decreti ministeriali del 1985 e 1987 bensì del
marchio CE?
La risposta la troviamo nello stesso articolo 2 del D.M. n. 548 e precisamente
al comma 2, il quale dispone che “la rispondenza dei ricevitori di radiodiffusione
sonora e televisiva a quanto previsto al comma 1 è attestata mediante una
dichiarazione di conformità a tale decreto, rilasciata dal fabbricante o dal
suo mandatario stabilito nella Unione europea e riportata nel manuale d'uso
degli apparecchi stessi.” Il legislatore italiano, per un residuo senso di
pudore, ha così “sdoppiato” l'omologazione dei ricevitori BC commerciabili in
Italia: all'esterno il marchio CE attestante la conformità alla direttive
comunitarie, all'interno una dichiarazione di conformità mantenuta per il
mercato italiano e riferita proprio alle prescrizioni dell'art. 2, comma 1, del
D.M. n. 548 (che mutua, a propria volta, quelle del paragrafo 3 dei due decreti
del 1985 e 1987). Per un esempio, vedi http://www.catweb.it/ImgArt/Manuali/RCD
3836.pdf
Coerentemente l'art. 3 del D.M. 548 ribadì quanto già previsto dall'art. 14 del
d.lgs. 476/1992, e cioè che “fino al 31 dicembre 1995, è autorizzata
l'immissione sul mercato o la messa in servizio degli apparecchi sprovvisti di
marcatura CE, conformi alle norme italiane in materia di compatibilità
elettromagnetica in vigore alla data del 30 giugno 1992.” A tale proposito
ricordiamo che il D.M. 25 giugno 1985 aveva originariamente fissato un periodo
pari a dieci anni dalla data della propria entrata in vigore (1.9.1985) per
l'uso di ricevitori non conformi alle norme tecniche di cui al proprio allegato
A.
L'ulteriore omologazione richiesta dal nostro Stato, pur se “nascosta”, esiste
ancora.
Ma, in pratica, cosa attesta il marchio CE che troviamo apposto sui
radioricevitori BC di ultima fabbricazione? Solamente la conformità alle due
direttive LVD (bassa tensione) e EMC (compatibilità elettromagnetica), e
nient'altro. Questo è sufficiente negli altri Paesi europei ma non in Italia,
con la conseguenza che in Italia è vietato l'utilizzo di quei ricevitori BC
sintonizzabili su frequenze esterne alle gamme d'onda indicate nella tabella
ministeriale riportata nel precedente paragrafo 4. E questo anche se
contrassegnati dal marco CE.
L'art. 8 del D.M. 25.6.1985 consentì - per un periodo di sei mesi dalla propria
entrata in vigore - l'immissione in commercio di apparati sprovvisti del numero
distintivo attestante il rilascio della certificazione di rispondenza o della
dichiarazione di rispondenza; al tempo stesso ammise l'uso di ricevitori non
conformi alle norme tecniche di cui all'allegato A (comprese quindi quelle
relative ai limiti alle bande di frequenze ricevibili) per un periodo di dieci
anni dall'entrata in vigore del decreto medesimo. Di conseguenza, stando alla
norma ora ricordata, da ormai dieci anni non è più consentito non solo
l'acquisto di nuovi ricevitori c.d. “fuori banda”, ma nemmeno l'utilizzo di
quelli vecchi, tuttora presenti in molte abitazioni italiane.
Nel paragrafo 9 vedremo la portata di tali limitazioni, tutt'oggi in vigore.
6. IL PIANO NAZIONALE DI RIPARTIZIONE DELLE FREQUENZE
Un'obiezione al ragionamento fino a qui sviluppato potrebbe essere quella che
il vigente piano nazionale di ripartizione delle frequenze (approvato con D.M.
Comunicazioni 8 luglio 2002 e modificato con successivo decreto 20 febbraio
2003) riporta – per il servizio di radiodiffusione – all'incirca le stesse
frequenze di cui al paragrafo 3 dei due decreti ministeriali del 1985 e 1987.
Le riportiamo nel dettaglio, con l'osservazione che vi sono addirittura delle
soluzioni di continuità rispetto agli ambiti delineati dai due D.M.: (kHz)
148-283,5 / 526,5-1606,5 / 3950-4000 / 5900-6200 / 7100-7350 / 9400-9900 /
11600-12100 / 13570-13870 / 15100-15800 / 17410-17900 / 18900-19020 /
21450-21850 / 25670-26100.
Ma è ragionevole affermare che i fabbricanti, gli importatori ed i possessori
di ricevitori BC debbano sottostare alle stesse limitazioni previste invece per
gli utilizzatori delle bande di frequenze? La risposta è no, per il semplice
motivo che tale piano (come peraltro quelli che l'hanno preceduto) riguarda le
sole emissioni o ricetrasmissioni su tali frequenze, e non anche la mera
attività di ricezione.
E' sufficiente, a tale proposito, leggere la seguente definizione contenuta nel
glossario allegato al D.M. 8.7.2002: “ (Servizio di radiodiffusione) Servizio
di radiocomunicazione le cui emissioni sono destinate ad essere ricevute
direttamente dal pubblico in generale. Questo servizio può comprendere emissioni
sonore, emissioni televisive o altri generi di emissione.” Il piano disciplina
l'uso in tempo di pace delle bande di frequenze in ambito nazionale, con la
finalità di attribuire le bande oggetto del piano ai diversi servizi, di
indicare l'autorità governativa preposta alla gestione delle frequenze nonché
le principali utilizzazioni civili. E non vi è dubbio che i servizi indicati
nel piano non siano di semplice ricezione (a parte, ovviamente, la
radioastronomia e la radiogoniometria).
Il primo piano delle radiofrequenze (emanato nella vigenza del codice postale
del 1973) affermava - in una nota in calce al testo dell'allegato al D.M. Poste
e Telecomunicazioni 3.12.1976 – che "le bande di frequenze al di sotto di
27,5 MHz non formano di massima oggetto di piani nazionali di ripartizione. Ciò
è dovuto al fatto che, date le caratteristiche di propagazione di tali onde, i
Paesi non sono generalmente utilizzatori di intere bande di frequenze ma solo
di singole frequenze coordinate in sede internazionale…”. Tale assunto è ancora
valido, anche se i piani che si sono succeduti (D.M. 31.1.1983 e 28.2.2000, più
volte modificati ed integrati) hanno visto lo Stato italiano ampliare lo
spettro di frequenze gestito, giungendo all'attuale “tra 0 e 1.000 GHz” (articolo
1 del D.M. Comunicazioni 8 luglio 2002).
Nel rispetto del piano nazionale di ripartizione delle frequenze approvato con
decreto del Ministro, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni elabora
invece i piani di assegnazione delle frequenze ad uso civile e li approva,
lasciando al Ministero delle Comunicazioni il compito di approvare il relativo
disciplinare indicante i requisiti e le modalità di partecipazione per
l'effettiva attribuzione delle frequenze.
Le bande attribuite in uso esclusivo al Ministero della Difesa, invece, sono
assegnate da tale dicastero mentre, per quanto concerne le bande in
compartecipazione, l'Autorità provvede al previo coordinamento con il dicastero
medesimo.
Ricordiamo infine che l'art. 3 del D.lgs. 269/2001 (Attuazione della direttiva
R&TTE) prevede che le apparecchiature radio, in osservanza del piano
nazionale di ripartizione delle frequenze, siano costruite in modo da
utilizzare in maniera efficace lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di
Terra e spaziali e le risorse orbitali, evitando interferenze dannose.
E' ben evidente che il piano nazionale delle radiofrequenze di ogni Stato
indichi come utilizzabili (a scopo di emissione) solo quelle frequenze che
tengono conto sia delle locali caratteristiche topografiche e di propagazione,
sia delle assegnazioni fatte a beneficio di altri Stati. In altre parole il
piano nazionale dell'Italia, appartenente alla c.d. “Regione 1” (Europa ed
Africa) non può certo assegnare ai nostri servizi di radiodiffusione le
frequenze delle bande delle zone tropicali, le caratteristiche delle quali non
sono adatte alla posizione geografica del nostro Paese, ma altrettanto
certamente non può vietarne l'ascolto. Infatti, il rispetto dei trattati
internazionali posti a disciplina delle radiodiffusioni è volto ad impedire
reciproche interferenze tra le stazioni radio e, quindi a tutelare il loro
diritto di trasmissione: diritto il quale, è appena il caso di ricordarlo,
sarebbe vano se poi fosse impedito il relativo diritto all'ascolto.
Ai fini dell'assegnazione delle bande di frequenze, la Unione Internazionale
delle Telecomunicazioni - mediante il c.d. "regolamento internazionale di
Ginevra" (ratificato dall'Italia con D.P.R. 25 settembre 1967, n. 1525) -
nel 1959 ha suddiviso la Terra in tre aree (approssimativamente così
identificabili: regione 1 - Europa ed Africa; regione 2 - Americhe; regione 3 -
Asia ed Oceania) ulteriormente suddivise in quattro zone (africana, europea,
europea marittima e tropicale). La zona indicata come "tropicale" è
trasversale alle regioni (per un primo esame dell'argomento consulta i siti
http://www.itu.int/ITU-R/terrestrial/broadcast/index.html
http://www.mclink.it/personal/MC4868/convert.htm e
http://www.geocities.com/SiliconValley/2551/regol_in.htm).
Di conseguenza, con riferimento all'attività di emissione e di ricetrasmissione
sulle bande tropicali, il piano di ripartizione italiano prevede, per le
seguenti frequenze utilizzate anche dalle stazioni broadcasting che trasmettono
da Nazioni poste tra i Tropici del Cancro e del Capricorno
(kHz) 2300-2495 (banda dei 120 metri)
3200-3400 (banda dei 90 metri)
4750-5060 (banda dei 60 metri)
solamente servizi sia fissi che mobili, gestiti dal Ministero della Difesa
oppure dal Ministero delle Comunicazioni e diversi da quello di
radiodiffusione.
Infatti, le utilizzazioni civili gestite dal secondo Ministero sono le
“stazioni di nave”, le “reti fisse ad uso pubblico” e la “ricerca spaziale”.
Quest'ultima (su kHz 5003-5005) - quale stazione a statuto di servizio secondario
–non deve causare disturbi pregiudizievoli a quella primaria che, nel caso
specifico, riguarda le “frequenze campione e segnali orari” cui è stata
attribuita la banda di frequenze kHz 4995-5005.
Ma di quali stazioni di radiodiffusione è vietata la ricezione in virtù del
disposto dei due D.M. adottati nel 1985 e 1987? Esse sono:
· nella gamma delle onde medie (tra i 1630 ed i 1730 kHz): le emittenti pirate
e clandestine europee e le emittenti regolari degli Stati Uniti;
· nella gamma delle onde corte (bande dei 160, 120 metri, 90 e 80 metri): le
emittenti regolari, pirate e clandestine di Europa, Asia e Sud-America;
· nella gamma della modulazione di frequenza: le emittenti della Russia e paesi
dell'est (gamma dei 64 MHz) e della Cina (gamma dei 76 MHz).
Si può certamente osservare che – se proprio si deve parlare di limitazione al
diritto al radioascolto – essa andrebbe comunque a riguardare alcune stazioni
che, quando non impossibili, sono comunque molto difficili da captare da parte
dell'ascoltatore italiano. Se questo è vero, è altrettanto vero, però, che
esistono appassionati (oltre ai BCL anche i cosiddetti SWL, ascoltatori delle
trasmissioni dei radioamatori e delle emissioni radio in genere effettuate
sulle onde corte) che con particolari impianti sono in grado di ricevere tali
stazioni (cosiddette stazioni DX), escluse forse quelle in FM. Inoltre detta
limitazione andrebbe a colpire la possibilità per gli organi di informazione
italiani di sintonizzare tali emittenti così come, per turisti e giornalisti,
di acquistare in Italia un ricevitore idoneo all'ascolto delle emittenti locali
nel corso di viaggi all'estero.
La storia delle democrazie insegna che le emittenti clandestine dei paesi a
regime dittatoriale possono contare (per far conoscere la situazione di disagio
o di oppressione che affliggono le loro Patrie) solamente sull'ascolto da parte
degli organi di informazione del mondo libero. Le emittenti pirate invece,
proprio grazie alla messa in onda delle loro trasmissioni politiche e culturali
così come di musica di etichette non commerciali, sperano di avviare un
alternativo circuito informativo e culturale.
A scanso di equivoci, affermiamo che - anche nel caso che un'Autorità vietasse
legittimamente un'emissione radiotelevisiva e sempre legittimamente ne
perseguisse gli autori – non altrettanto legittimo sarebbe il divieto di
ascoltare tali emissioni. Perciò, anche nei casi (assolutamente da
circoscrivere in democrazia) ove possa essere vietata la parola diffusa per
mezzo della radio e della televisione, mai dovrà esserne sanzionato l'ascolto.
La storia delle trasmissioni radiotelevisive in Italia, infatti, è un continuo
susseguirsi di spazi liberi ove prima regnava il divieto più assoluto.
In proposito ricordiamo che (prima dell'abolizione del monopolio RAI) qualunque
radio privata italiana era un'emittente pirata, come lo sarebbero poi state,
per qualche anno ancora, quelle che irradiavano il proprio segnale sulle
frequenze tra i 104 ed i 108 MHz (riservati al Ministero della Difesa e ad Enti
aeronautici dall'allora vigente piano nazionale approvato con D.M. 3.12.1976) e
come ancora ci saranno nell'alternanza tra regimi concessorio e autorizzatorio
previsti dai provvedimenti legislativi susseguitisi negli anni: tra i più
importanti la prima timida legge contro il monopolio RAI (14.4.1975, n. 103),
poi la “legge salva-reti” (4.2.1985, n. 10), la "legge Mammì"
(6.8.1990, n. 223 ed il successivo D.lgs. 22.2.1991, n. 73), la “legge
Maccanico” (31.7.1997, n. 249) ed infine la “legge Gasparri” (3.5.2004, n.112).
7. I RADIODISTURBI ED IL NUOVO CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE
Il Codice postale del 1973 è stato quasi completamente sostituito dal “Codice
delle comunicazioni elettroniche”, approvato con D.lgs. 1 agosto 2003, n.259.
Il nuovo Codice ha abrogato l'articolo 398 del codice postale del 1973
(esaminato nel precedente paragrafo 4), sostituendolo con la seguente
disposizione:
“Art. 210 (Prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed
alle radioricezioni)
1. Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 12 novembre 1996, n. 615 e dal
decreto legislativo 9 maggio 2001, n.269, è vietato immettere in commercio o
importare nel territorio nazionale, a scopo di commercio, usare od esercitare,
a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici o linee di trasmissione di
energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per
la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.
2. L'immissione in commercio e l'importazione a scopo di commercio dei
materiali indicati nel comma 1 sono subordinate al rilascio di una
certificazione, di un contrassegno, di una attestazione di rispondenza ovvero
alla presentazione di una dichiarazione di rispondenza.
3. Con decreto del Ministro [delle Comunicazioni], di concerto con il Ministro
delle attività produttive, è effettuata la designazione degli organismi o dei
soggetti che rilasciano i contrassegni o gli attestati di rispondenza previsti
dal comma 2.”
L'incipit di questa disposizione normativa conferma la permanenza in vigore
delle più severe disposizioni sanzionatorie, introdotte nell'ordinamento dai
decreti di attuazione delle direttive comunitarie EMC e R&TTE
(rispettivamente con gli artt. 11 del D.lgs. 615/1996 e 10 del D.lgs. 269/2001)
e fatte salve in precedenza rispettivamente dagli artt. 2 e 17 del D.lgs.
269/2001 mediante disapplicazione del previgente art. 398 del Codice 1973.
Curiosamente, per quanto riguarda la direttiva R&TTE tale disapplicazione è
stata prevista dall'art. 17 avente la rubrica “abrogazioni”; per la direttiva
EMC l'art. 2 fa invece un generico rinvio alla legge 22 maggio 1980, n. 209
(Modifica degli articoli 398 e 399 del codice postale e delle
telecomunicazioni) e quindi all'atto modificante (invece che fare riferimento
alla disposizione base, come peraltro previsto dalle più rinomate regole di
redazione dei testi normativi: vedi Circolare della Presidenza del Consiglio
del 2 maggio 2001 - Guida alla redazione dei testi normativi – punto 1.9.2
lett. d).
Quanto sopra fa dell'art. 210 una disposizione normativa di carattere
marginale, posta a sanzione – in combinato disposto con il successivo art. 212
- dei comportamenti che violano le norme sui radiodisturbi (provocati, si badi
bene, da apparati od impianti elettrici e non più radioelettrici, come vedremo
infra al punto IV), lasciando alle citate disposizioni dei due decreti di
attuazione la tutela dei ben più rilevanti requisiti di protezione in materia
di compatibilità elettromagnetica e dei requisiti essenziali delle
apparecchiature radio e delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni.
Come illustrato nel precedente paragrafo 3, ricordiamo che detti requisiti
essenziali ricomprendono anche quelli precedentemente introdotti con le
direttive LVD e EMC.
Il richiamo fatto ai decreti di recepimento delle due direttive comunitarie
consente di applicare anche le norme più favorevoli, da esse dettate in materia
di commercio ed uso degli apparecchiature radio e delle apparecchiature
terminali di telecomunicazione. Ad esempio, in occasione di fiere, esposizioni,
dimostrazioni commerciali e manifestazioni analoghe è consentita la libera
circolazione degli apparecchi che non rispettano le disposizioni del decreto
269/2001 (non però la commercializzazione o la messa in servizio).
A tale proposito, è opportuno ricordare che la stessa direttiva R&TTE non
si applica – oltre che alle apparecchiature radio di sola ricezione utilizzate
esclusivamente per ricevere servizi di radiodiffusione sonora e televisiva –
anche alle apparecchiature radio utilizzate da radioamatori per il servizio di
radioamatore e per il servizio di radioamatore via satellite, ad eccezione
delle apparecchiature che si trovano in commercio: la direttiva si premura
anche di precisare che “gli insiemi di componenti (kit) destinati ad essere
assemblati da radioamatori e le apparecchiature in commercio modificate dai
radioamatori e ad uso degli stessi non sono considerati apparecchiature che si
trovano in commercio.”
Quali le differenze con l'abrogato articolo 398 del vecchio codice?
I. Dai comportamenti vietati, relativi agli apparati o impianti non rispondenti
alle norme contro i radiodisturbi, è stato espunto quello di costruire. In
pratica, però, non è cambiato alcunché, considerato che la sanzione scatterebbe
comunque, non appena si passasse ad usare tali apparati o impianti (salvo
quanto appena detto per gli OM che effettuino un servizio di radioamatore).
E' da chiarire che anche l'art. 398, pur sanzionando la costruzione solo in
quanto effettuata “a scopo di commercio", in realtà non concedeva
esenzione alcuna per gli apparecchi autocostruiti: ciò a motivo del divieto
dell'uso a qualsiasi titolo di apparati od impianti non in regola.
II. La vendita di apparati o impianti - così come l'importazione a tale scopo -
è ora possibile anche in presenza della sola dichiarazione (da parte del
fabbricante) della rispondenza degli stessi alle norme stabilite per la
prevenzione e l'eliminazione dei radiodisturbi.
III. E' venuta meno la competenza ministeriale ad emanare norme contro i
radiodisturbi, (criterio del "nuovo approccio"), mentre rimane quella
di designare gli organismi notificati.
In applicazione dell'art. 398 del Codice postale del 1973 come novellato con
legge 209/1980, il D.M. 1.9.1980 aveva infatti provveduto in precedenza a
designare gli organismi incaricati di rilasciare i contrassegni e gli attestati
di rispondenza alle norme sui radiodisturbi.
IV. E' sparito ogni riferimento agli apparati o impianti radioelettrici.
La differenza da ultimo indicata ha definitivamente eliminato ogni dubbio su
quale fosse il vero obiettivo (tradito dalla normativa ministeriale del 1985 e
1987) del divieto sancito dal vecchio articolo 398: la pura e semplice
“prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle
radioricezioni”, allo scopo di tutelare (e non di penalizzare) i BCL.
Altrettanto rilevante è l'accoglimento del criterio del "nuovo
approccio" (o, “nuova strategia”), adottato nel 1985 dall'Unione europea
con la Risoluzione 7 maggio 1985 del Consiglio, relativa ad una nuova strategia
[new approach] in materia di armonizzazione tecnica e normalizzazione), la
quale prevede – al posto di una normativa dettagliata – la semplice indicazione
degli obiettivi ai quali adeguarsi, individuati – per il settore delle
comunicazioni elettroniche - nella conformità degli apparecchi ricevitori ai
requisiti essenziali (protezione della salute e della sicurezza dell'utente o
di qualsiasi altra persona – direttiva LVD) ed ai requisiti di protezione (per
quanto riguarda la compatibilità elettromagnetica – direttiva EMC).
La normativa comunitaria ha fatto sì che non spetti più agli Stati membri
l'individuazione nel dettaglio delle norme tecniche (che assumevano una
connotazione anche giuridica) per prevenire i radiodisturbi. Compito delle
Autorità nazionali rimane quello di individuare gli organismi
"notificati", cioè quei soggetti tecnici che diano garanzia di
competenza e imparzialità: saranno poi questi a verificare il rispetto delle
norme (anch'esse tecniche) dettate dagli organismi europei di normalizzazione,
trasposte dagli omologhi organismi nazionali e recepite infine in atti
normativi dalle autorità statali (per il dettaglio di questi aspetti vedi il
paragrafo 2 dell'articolo “L'omologazione dei ricevitori di radiodiffusione:
fonti normativa e soggetti”, pubblicato il 6 giugno 2005 nel n. 143 di
Filodiritto).
Acquisiti pertanto i seguenti fondamentali passaggi logici
Ø gli apparati od impianti riceventi non possono disturbare le
radiotrasmissioni e le radioricezioni,
Ø il Ministero non è più competente ad emanare norme contro i radiodisturbi,
passiamo ora visionare il più recente documento legislativo, solennemente
denominato “testo unico della radiotelevisione”.
8. IL TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE
Il recentissimo provvedimento, emanato con D.lgs. 31 luglio 2005, n.177, reca
disposizioni rilevanti anche per la materia del diritto al radioascolto. E' da
precisare che nella legge 3.5.2004, n. 112 (Norme di principio in materia di
assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana
Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della
radiotelevisione – c.d. “legge Gasparri”) l'art. 16 recava delega “ad adottare
un decreto legislativo recante il testo unico delle disposizioni legislative in
materia di radiotelevisione, (…) coordinandovi le norme vigenti e apportando
alle medesime le integrazioni, modificazioni e abrogazioni necessarie al loro
coordinamento o per assicurarne la migliore attuazione, nel rispetto della
Costituzione, delle norme di diritto internazionale vigenti nell'ordinamento
interno e degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea e alle Comunità europee.”
Meno solenne era stato il disposto della legge delega che portò all'emanazione
del “Codice delle comunicazioni elettroniche”. Infatti, nella legge 1.8.2002,
n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti) l'art. 41
(Riassetto in materia di telecomunicazioni) vincolava il Governo ad adottare un
Codice delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
telecomunicazioni, attenendosi al solo criterio della "espressa
abrogazione di tutte le disposizioni incompatibili" e affermando –
all'art. 2, comma 3 – che “rimangono ferme e prevalgono sulle disposizioni del
Codice le norme speciali in materia di reti utilizzate per la diffusione
circolare di programmi sonori e televisivi”.
L'art. 53 del T.U., d'altro canto, ha specularmente affermato che “le
disposizioni del presente testo unico in materia di reti utilizzate per la
diffusione circolare dei programmi di cui all'articolo 1, comma 2,
costituiscono disposizioni speciali, e prevalgono, ai sensi dell'articolo 2,
comma 3, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, su quelle dettate in
materia dal medesimo.”
Notiamo che la legge 166/2002 delegava il Governo a redigere un Codice delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di telecomunicazioni. In
realtà, quello che è poi divenuto il Codice delle comunicazioni elettroniche
contiene norme esclusivamente di rango primario, in considerazione dell'operato
richiamo all'articolo 76 della Costituzione (e non al solo art. 87) e la
conseguente veste di decreto legislativo. Non è stata infatti utilizzata la
formula - precedentemente introdotta dall'art. 7 della legge 8.3.1999, n. 50
(Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi
- Legge di semplificazione 1998) - del combinato che aveva accompagnato - ad
esempio - il varo delle disposizioni in materia di documentazione
amministrativa con un decreto legislativo (n. 443/2000) e due D.P.R. (nn. 444 e
445/2000). Era infatti intervenuto l'art. 23 della legge 29.07.2003, n. 229
(Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e
codificazione – Legge di semplificazione 2001) che aveva nel frattempo abrogato
la fonte dei c.d. “testi unici misti” .
E' da osservare, però, che detta fonte è stata recentemente ripristinata dalla
legge 28.11.2005, 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005)
la quale, nel riscrivere per l'ennesima volta l'art. 20 della legge Bassanini
(n. 59/1997), ha inserito il comma 3-bis prevedendo che "Il Governo, nelle
materie di competenza esclusiva dello Stato, completa il processo di
codificazione di ciascuna materia emanando, anche contestualmente al decreto
legislativo di riassetto, una raccolta organica delle norme regolamentari
regolanti la medesima materia, se del caso adeguandole alla nuova disciplina di
livello primario e semplificandole secondo i criteri di cui ai successivi
commi". Sarà, a questo punto, da vedere se ed in quali termini il Governo
statale potrà avvalersi di tale facoltà: infatti, sia il Codice del 2003 (art.
5) che il Testo Unico del 2005 (art. 12) operano nell'ambito dell'ordinamento
della comunicazione, materia di legislazione concorrente (e non esclusiva) ai
sensi dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. A tale proposito, osserviamo
che la sentenza della Corte costituzionale 14-27 luglio 2005 n. 336 ha già
provveduto a “svuotare” (a favore dello Stato) la concorrenzialità tra i due
enti con potestà legislativa, affermando, al punto 6.1 delle considerazioni in
diritto, che - essendo la rete unica a livello globale – “ciò comporta che i
relativi procedimenti autorizzatori devono essere necessariamente disciplinati
con carattere di unitarietà e uniformità per tutto il territorio nazionale,
dovendosi evitare ogni frammentazione degli interventi. Ed è, dunque, alla luce
di tali esigenze e finalità che devono essere valutate ampiezza ed operatività
dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato.”
E' opportuno evidenziare che, nel solco della tradizionale distinzione tra
testi unici “ricognitivi” e testi unici “fonte”, difficile sarebbe affermare la
mera natura ordinatrice del T.U. della radiotelevisione, considerata l'espressa
delega del Parlamento ad apportare le integrazioni, modificazioni e abrogazioni
necessarie. Inoltre, abbiamo visto che al proprio art. 1, lett. b) il Testo
unico recita testualmente di contenere “le disposizioni legislative vigenti in
materia radiotelevisiva, con le integrazioni, modificazioni e abrogazioni
necessarie al loro coordinamento o per assicurarne la migliore attuazione, nel
rispetto della Costituzione, delle norme di diritto internazionale vigenti
nell'ordinamento interno e degli obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea ed alle Comunità europee.”
L'art. 16 della legge 112/2004 delegava invece il Governo ad adottare un
decreto legislativo recante il testo unico delle disposizioni legislative in
materia di radiotelevisione, coordinandovi le norme vigenti e apportando alle
medesime le integrazioni, modificazioni e abrogazioni necessarie. Lo
spostamento dell'attributo “vigenti”, operato nel periodo della disposizione
normativa, non lascia dubbio alcuno sull'intenzione del legislatore delegato di
voler rafforzare il carattere di definitività da attribuire alla normativa in
tema di radiodiffusione.
E' avvenuta pertanto la novazione delle preesistenti fonti, con inevitabili
future conseguenze sull'interpretazione delle disposizioni normative.
Giunti a questo punto del ragionamento, dobbiamo chiederci che ne sia stato
della disposizione normativa di cui all'articolo 411 (Nulla è innovato nella
legislazione vigente sulle radiodiffusioni) contenuta nel vecchio codice
postale del 1973 e non abrogata dal vigente Codice delle comunicazioni
elettroniche (D.lgs. 1.8.2003, n. 259). A tale proposito ricordiamo che
l'articolo 411 era sopravvissuto non tanto in virtù del "principio di
specialità" (affermato invece dal citato art. 53 del nuovo Testo Unico
relativamente alle "reti" utilizzate per la diffusione circolare dei
programmi, e quindi pertinente all'attività di trasmissione del segnale e non a
quella al radioascolto), bensì in conseguenza della mancata abrogazione
esplicita.
Rispondiamo che il testo dell'articolo 411 non è stato ripreso nel Testo Unico
proprio per il carattere di onnicomprensività che abbiamo visto affermato
dall'art. 1, lett. b). Dobbiamo invece chiederci se sia ancora vigente la
normativa alla quale l'art. 411 rinviava e che abbiamo individuato nelle
seguente:
n il Regio decreto-legge 21.2.1938, n. 246 (Disciplina degli abbonamenti alle
radioaudizioni), che disciplina nel dettaglio l'obbligo di pagamento del canone
di abbonamento,
n il Regio decreto 8.7.1938, n. 1415 (Approvazione dei testi della legge di
guerra e della legge di neutralità), che prevede la possibilità di imporre
restrizioni al diritto al radioascolto, limitatamente però al periodo bellico,
n i Regio decreto 16.6.1940, n. 765 e Decreto legislativo luogotenenziale
3.4.1945, n. 152, disposizioni a carattere transitorio che diedero
rispettivamente inizio e fine al regime giuridico di divieto del radioascolto
di molte emittenti straniere durante la seconda guerra mondiale.
Osserviamo che all'istituto del canone di abbonamento (così come al regio
decreto-legge 246/1938) fanno ancora espresso riferimento gli artt. 7 e 47 del
testo unico, mentre la legge di guerra – pur se in contrasto con i principi di
libertà nell'utilizzo dei mezzi di comunicazione (stampa e corrispondenza,
telecomunicazioni e segnalazioni, mezzi di trasporto) – non ha certo subito
contraccolpi dall'adozione del nuovo testo unico, a motivo dell'evidente
carattere di specialità che la contraddistingue. Infine i due decreti 765/1940
e 152/1945 costituiscono attuazione dell'art. 20 della legge di guerra.
Ad ogni modo, qualunque sia la portata del testo unico nei confronti delle fonti
di produzione sopra citate, notiamo che esso contiene le seguenti disposizioni:
Art. 3 (Principi fondamentali)
1. Sono principi fondamentali del sistema radiotelevisivo la garanzia della
libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela
della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione
e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di
frontiere, l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità
dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche,
sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del
patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel
rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della
persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell'armonico
sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione,
dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell'ordinamento
italiano e dalle leggi statali e regionali.
Crediamo che non vi sia dubbio alcuno che il diritto al radioascolto – come lo
abbiamo definito in esordio del presente lavoro - sia stato e sia tuttora
garantito dalla normativa italiana di rango primario. Pertanto nessuna pubblica
autorità può imporre un divieto che nemmeno il Fascismo (salvo, come si è
detto, il periodo bellico) aveva stabilito. Già prima della guerra, la
dittatura in Italia aveva limitato la libertà di pensiero nei suoi tanti modi di
essere, compreso certamente quella di comunicazione mediante le trasmissioni
radio; non ne limitò però la ricezione, se non richiedendo il pagamento di un
canone, certamente odioso ma non collegato ad altri adempimenti o verifiche.
9. LA LIMITAZIONE ALLE FREQUENZE RICEVIBILI DAI RICEVITORI DI RADIODIFFUSIONE:
UNA NORMATIVA ILLEGITTIMA
In Italia le leggi e, comunque, le norme di rango primario non pongono
limitazione alcuna al diritto al radioascolto (salva la previsione del canone
di abbonamento alle radioaudizioni, al pagamento del quale sono comunque dal 1°
gennaio 1998 dispensate le sole utenze familiari ai sensi dell'art. 24, comma
14, della legge 27.12.1997, n. 449).
Con riferimento invece alle norme di rango secondario:
· l'allora Ministero delle Poste e Telecomunicazioni emanò – in data 25.6.1985
e 27.8.1987 – due decreti contenenti disposizioni a scopo di prevenzione ed
eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni;
· i due decreti contenevano anche delle prescrizioni relative alle frequenze
utilizzabili in Italia dai ricevitori di radiodiffusione sonora (e televisiva),
restrittive rispetto alle tipologie di ricevitori presenti nel mercato mondiale
dei ricevitori di radiodiffusione.
Il D.M. 26.3.1992 stabilì poi che “gli apparecchi per la ricezione televisiva
(…) devono (…):
a) essere in grado di ricevere tutti i canali televisivi pianificati per
l'Italia A, B, C, D, E, F, G, H, H1 , H2 nonché i canali da 21 a 69.”
Osserviamo il diverso tenore della disposizione, la quale non pone un limite ai
canali ricevibili ma, al contrario, garantisce il numero minimo di essi che un
qualunque televisore commercializzato in Italia dovrà obbligatoriamente
sintonizzare;
· anche se la direttiva comunitaria 1989/336/CEE (c.d. "direttiva EMC",
recepita dall'Italia con decreto legislativo 4.12.1992, n. 476 e trasfusa poi
assieme ad altre nel decreto legislativo 12.11.1996, n. 615) ha sostituito la
disciplina relativa ai radiodisturbi precedentemente contenuta nei due decreti
ministeriali del 1985 e 1987, le prescrizioni relative alle frequenze dei
ricevitori di radiodiffusione sonora sono state invece mantenute in vigore dal
D.M. 548 del 28.8.1995, contenente un regolamento concernente la prevenzione e
l'eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai ricevitori di
radiodiffusione sonora e televisiva.
Perché nel 1985 erano state stabilite delle prescrizioni - tutt'oggi in vigore
- relativamente alle frequenze captabili dai semplici ricevitori della
radiodiffusione? Quello che riteniamo un mistero è, forse, in parte spiegabile
con il timore (da parte dell'autorità postale) che con l'uso dei ricevitori BC
vengano captate anche trasmissioni radio ritenute riservate.
Probabilmente si era ritenuto più semplice impedire la commercializzazione dei
"pericolosi" apparecchi ricevitori (pericolosi in Italia ma
liberamente venduti in quasi tutte le altre nazioni del mondo), in quanto
l'intercettazione di trasmissioni riservate non poteva e non può certo
ritenersi ricompresa tra le fattispecie previste di cui agli artt. 617 e 617
bis del codice penale, semmai tra quelle di cui all'art. 18 del R.D. 8 febbraio
1923, n. 1067 (Norme per il servizio delle comunicazioni senza filo).
Riportiamo il testo dell'articolo, come modificato con regio decreto 14.6.1923,
n. 1488: “Chiunque, senza l'espressa autorizzazione del Ministro delle poste e
delle telecomunicazioni, intercetti e propali con qualsiasi mezzo il contenuto
di corrispondenza radiotelegrafica o radiotelefonica o di esso si serva
indebitamente per qualsiasi fine, è punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni e con la multa." La giurisprudenza di Cassazione è però
altalenante sull'applicabilità di tale norma alla fattispecie
dell'intercettazione di trasmissioni riservate.
Nella vigenza del Codice postale 1973, l'utilizzo di apparecchi ricevitori
della radiodiffusione con frequenze non previste dai due D.M. del 1985 e 1987
era vietato ai sensi dell'art. 398, costituendo infatti "uso o
esercizio" di "apparati o impianti" radioelettrici non rispondenti
alle norme stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle
radiotrasmissioni ed alle radioricezioni (questo perché tali decreti prevedono
per l'appunto anche le limitazioni alle frequenze sintonizzabili dai ricevitori
BC, oggetto del presente studio).
Anche se non si ha notizia di un'effettiva applicazione di sanzioni nei
confronti dei meri utilizzatori di ricevitori operanti anche sulle frequenze
non consentite, la violazione era comunque sanzionata dal successivo art. 399
(come sostituito dall'art. 4, l. 22 maggio 1980, n. 209) il quale prevedeva che
"chiunque contravvenga alle disposizioni di cui al precedente articolo 398
è punito con sanzione amministrativa da lire 15.000 a lire 300.000".
Qualora il contravventore fosse appartenuto "alla categoria dei
costruttori o degli importatori di apparati o impianti elettrici o
radioelettrici si applica(va) la sanzione amministrativa da lire 50.000 a lire
100.000, oltre alla confisca dei prodotti e delle apparecchiature non conformi
alla certificazione di rispondenza di cui al precedente articolo 398." Il
testo originario prevedeva invece la pena dell'ammenda rispettivamente da lire
5000 a lire 200.000, e da lire 20.000 a lire 400.000, senza una specifica
previsione di confisca.
L'adozione della direttiva comunitaria EMC - come ricordato in precedenza al
paragrafo 5 - ha sostituito la disciplina relativa ai radiodisturbi,
precedentemente contenuta nei due decreti ministeriali del 1985 e 1987. Ciò ha
fatto venire meno la sanzione comminata dall'art. 399 del Codice 1973, mentre
l'emanazione del "Codice delle comunicazioni elettroniche" (con
l'eliminazione nell'art. 210 di ogni riferimento agli apparati o impianti
radioelettrici) ha posto fine all'equivoco sulla presunta possibilità (per gli apparati
od impianti riceventi) di disturbare le radiotrasmissioni e le radioricezioni.
Attualmente, quindi, abbiamo un divieto non assistito da sanzione. Tale
anomalia – peraltro non rara nell'ordinamento giuridico italiano - non deve far
dimenticare però che è ancora in vigore una norma (come ricordato supra al
paragrafo 5) che indica il 31.12.1995 quale data dopo la quale non è più
possibile non solo commercializzare ma neppure utilizzare lecitamente i
ricevitori delle stazioni di radiodiffusione non conformi alle limitazioni
sulle frequenze poste dai due D.M. del 1985 e 1987. Se il divieto di utilizzo
può sembrare - per nostra fortuna - una “grida” di manzoniana memoria, esplica
invece tutti i propri effetti il divieto di commercializzazione. Ciò costringe
le case produttrici più rinomate ad apportare modifiche ai prodotti destinati
al mercato italiano (per un esempio, vedi
http://pdf.crse.com/manuals/3042774031.pdf) mentre spinge quelle più piccole o
spericolate semplicemente a far finta di nulla. Ricordiamo che alle
“apparecchiature radio di sola ricezione utilizzate esclusivamente per ricevere
servizi di radiodiffusione sonora e televisiva” non è applicabile l'art. 8
(libera circolazione degli apparecchi) del D.lgs. 269/2001 di attuazione della
direttiva R&TTE citato nel paragrafo 3.
Assistiamo pertanto ad un caso di eccessività del mezzo utilizzato rispetto al
fine perseguito, in quanto la pur legittima tutela della riservatezza dei
contenuti di alcune trasmissioni (quali quelle delle forze dell'ordine) non può
certo arrivare al sacrificio di un diritto soggettivo qual è quello al
radioascolto, degno di protezione ai sensi dell'art. 21 della Costituzione. La
normativa italiana che pone limitazioni alla frequenze ricevibili dai
ricevitori della radiodiffusione è pertanto illegittima, tanto nei confronti
delle norme costituzionali quanto di quelle di rango primario.
Nel successivo paragrafo constateremo che tale illegittimità è ravvisabile
anche nei confronti dell'ordinamento comunitario.
10. LE NUOVE TECNICHE DI TRASMISSIONE
Nell'era della comunicazione multimediale, assillata in Italia dal reale
problema delle forme di oligopolio, può apparire perfino ingenuo darsi tanta
pena per l'illegittimità di disposizioni normative che limitano l'ascolto di trasmissioni
(come quelle in onde corte) ormai in fase di abbandono da parte delle emittenti
broadcasting. Quest'ultime, infatti, hanno cominciato a privilegiare la
programmazione sul satellite oppure la diffusione su Internet oppure, restando
nell'ambito delle trasmissioni via etere, stanno sperimentando sistemi di
trasmissione digitale quali il DRM ed il DAB.
Il DRM (Digital Radio Mondiale) è lo standard di trasmissioni digitale che
utilizza le medesime frequenze delle onde corte, medie e lunghe (per approfondimenti
http://www.mediasuk.org/iw0hk/guida_drm/guida_drm.htm oppure
http://www.drm.org/).
Il DAB (Digital Audio Broadcasting), definito dal piano nazionale delle
radiofrequenze un “sistema di radiodiffusione sonora numerica di terra (T-DAB)”
– è impiegato in Italia nelle seguenti bande di frequenza, diverse da quelle
tradizionali: 223-230 MHz (canale 12 della banda VHF – III) e 1.452-1.492 MHz
(banda UHF – L). Tale sistema digitale è disciplinato a livello CEPT dagli Atti
finali della Conferenza di Wiesbaden (1995), emendati poi a Bonn (1996) ed a
Maastricht (2002). In tali sedi si è proceduto non solo all'assegnazione delle
frequenze (assignment), ma anche ad individuare le aree da coprire con il
segnale (allotment). Per approfondimenti vedi http://www.arpnet.it/air/T_DAB.htm;
http://www.dab.it/; http://www.raiway.rai.it/dab.htm.
Con l'art. 2-bis della legge 20 marzo 2001, n. 66, i soggetti titolari di
concessione per la radiodiffusione sonora nonché i soggetti che “eserciscono”
legittimamente l'attività di radiodiffusione sonora in ambito locale erano
stati abilitati alla sperimentazione di trasmissioni radiofoniche in tecnica
digitale (sia in banda VHF-III che in banda UHF-L), mediante la costituzione di
consorzi ovvero definendo intese per la gestione dei relativi impianti e per la
diffusione dei programmi e dei servizi. Successivamente il programma di
sviluppo della radiodiffusione sonora in tecnica digitale venne approvato con
D.M. Comunicazioni del 14 novembre 2001, al quale hanno fatto seguito le
seguenti delibere dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: n.
435/01/Cons, n. 249/02/Cons e n. 149/05/Cons (Regolamento recante la disciplina
della fase di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica
digitale). Con questo ultimo provvedimento, l'Autorità ha posto termine alla
fase sperimentale per la diffusione radiofonica in tecnica digitale.
Per quanto riguarda la concessionaria del servizio pubblico, l'art. 19 del
D.P.R. 29 ottobre 1997 (Approvazione del contratto di servizio 1997-1999)
impegnava la RAI a prevedere entro il 31.12.1999 il servizio in banda III per
il 60 % della popolazione ed effettuare la sperimentazione del servizio in
banda L. Successivamente, l'art. 19 del D.P.R. 8 febbraio 2001 (Approvazione
del contratto di servizio triennio 2000-2002) impegnava la concessionaria ad
avviare da subito il progetto di estensione della rete in banda III al fine del
raggiungimento di un grado di copertura della popolazione pari al 45 per cento
entro il 31.12.2000 e del 60 per cento entro il 31.12.2001, proseguendo al
contempo la sperimentazione in banda L mediante la ricerca e l'attuazione di
forme di collaborazione anche con concessionari radiofonici privati. Infine,
l'art. 3 del D.P.R. 14 febbraio 2003 (Approvazione del contratto di servizio
triennio 2003-2005) si limita ad impegnare la RAI a “presentare al Ministero un
progetto che, anche valorizzando i risultati sperimentali ottenuti ed in
itinere, definisca le successive fasi di avanzamento del piano di
configurazione delle reti di trasmissione in tecnica numerica e indichi le
compatibilità finanziarie.”
Ebbene, potrebbe bastare la risposta che quella che appare come una battaglia
di retroguardia (la tutela della libertà al radioascolto in gamme d'onda ormai
in via di abbandono da parte delle stazioni di radiodiffusione circolare) valga
comunque la pena di essere combattuta, in quanto un limite non contrastato ora
potrà in futuro essere preso a motivo di nuovi limiti nel mondo
dell'informazione (ad esempio restringendo l'accesso alla rete Internet, come è
avvenuto nella Repubblica Popolare Cinese).
Inoltre, rimanendo nel campo specifico delle radiodiffusioni, ricordiamo che
anche per le nuove tipologie di trasmissioni digitali le relative frequenze
dovranno comunque essere previste da un provvedimento normativo (piano
nazionale delle frequenze o altro) e che, in futuro, potrebbe avvenire che
proprio alcune trasmissioni in DAB o in DRM provenienti da altre parti del
mondo vengano irradiate su frequenze non consentite in Italia.
A tale proposito osserviamo che - mentre il Piano nazionale delle
radiofrequenze prevede che "nella banda di frequenze 1.452-1.492 MHz è
prevista, a partire dal 1 gennaio 2003, l'introduzione del sistema di
radiodiffusione sonora numerica di Terra (T-DAB) in accordo con gli Atti finali
delle riunioni di pianificazione (Wiesbaden 1995 e successive)", la citata
delibera dell'Autorità n. 249/02/Cons afferma invece in premessa (citando
proprio il medesimo Piano nazionale) che sono disponibili “per tale servizio,
20 blocchi di frequenze, di cui (…) 16 nella banda UHF – L 1452 - 1479,5 MHz”.
Preliminarmente all'apertura della Conferenza di Wiesbaden 1995, erano state
raccomandate in sede tecnica le seguenti cinque bande come operabili in
modalità DAB: VHF I: 47-68 MHz, VHF II: 87,5-108 MHz, VHF III: 174-230 MHz, VHF
Aeronautica militare: 230-240 MHz, UHF L (o banda 1,5 GHz): 1452-1492
(all'interno della quale è stata individuata la banda L + : 1467,5-1492 MHz).
In sede decisionale (come riportato negli Atti finali) è stato poi deliberato
di:
- di escludere il DAB dalla banda 230-240 MHz,
- riservare alla disciplina di ulteriori accordi le bande 47-68 e 174-223 MHz.
- riservare alla disciplina dei regolamenti internazionali che disciplinano
l'uso delle radiofrequenze (le c.d. Radio Regulations dell'Unione
Internazionale delle Telecomunicazioni) la banda 1452-1467.5 MHz,
- di non ricomprendere nel piano di allocazione le bande 87.5-108 e 1452-1467.5
MHz.
Prossimamente l'ITU (una sede pertanto mondiale, diversamente dalla CEPT), in
preparazione della prossima Conferenza regionale delle radiocomunicazioni del
2006, proporrà un nuovo accordo ed un nuovo piano per le frequenze della banda
VHF-III (174-230 MHz) e – innovativamente - per le bande VHF – IV/V (470-862 MHz).
Vedi, in proposito:
http://www.ero.dk/AD0A1D8A-68DF-4F3B-851A-FF9A17547768?frames=no&.
Pur essendo prematuro dare un giudizio, assistiamo già alle prime incertezze
sulle frequenze realmente disponibili: incertezze che in un non lontano futuro
potranno avere ripercussioni sull'omologazione dei nuovi ricevitori digitali.
Giunti a questo punto, è necessario dare uno sguardo alle norme comunitarie,
con l'avvertenza che esse sono poste a tutela più della libertà di commercio
che non di quella di informazione.
11. UNA SPERANZA DALL'UNIONE EUROPEA
Esaminiamo alcuni commi dell'art. 95 del Trattato di Roma, dedicati alle misure
di ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative degli Stati membri e aventi per oggetto l'instaurazione ed il
funzionamento del mercato interno:
4. Allorché, dopo l'adozione da parte del Consiglio o della Commissione di una
misura di armonizzazione, uno Stato membro ritenga necessario mantenere
disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti di cui all'articolo
30 o relative alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, esso
notifica tali disposizioni alla Commissione precisando i motivi del
mantenimento delle stesse.
(L'art. 30 del Trattato lascia impregiudicata la possibilità per i singoli
Stati membri di imporre divieti o restrizioni all'importazione,
all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita
delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione
del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della
proprietà industriale e commerciale.
Lo stesso articolo, tuttavia, ammonisce che tali divieti o restrizioni non
devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione
dissimulata al commercio tra gli Stati membri.)
5. Inoltre, fatto salvo il paragrafo 4, allorché, dopo l'adozione da parte del
Consiglio o della Commissione di una misura di armonizzazione, uno Stato membro
ritenga necessario introdurre disposizioni nazionali fondate su nuove prove
scientifiche inerenti alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro,
giustificate da un problema specifico a detto Stato membro insorto dopo
l'adozione della misura di armonizzazione, esso notifica le disposizioni
previste alla Commissione precisando i motivi dell'introduzione delle stesse.
6. La Commissione, entro sei mesi dalle notifiche di cui ai paragrafi 4 e 5,
approva o respinge le disposizioni nazionali in questione dopo aver verificato
se esse costituiscano o no uno strumento di discriminazione arbitraria o una
restrizione dissimulata nel commercio tra gli Stati membri e se rappresentino o
no un ostacolo al funzionamento del mercato interno.
In mancanza di decisione della Commissione entro detto periodo, le disposizioni
nazionali di cui ai paragrafi 4 e 5 sono considerate approvate.
Se giustificato dalla complessità della questione e in assenza di pericolo per
la salute umana, la Commissione può notificare allo Stato membro interessato
che il periodo di cui al presente paragrafo può essere prolungato per un
ulteriore periodo di massimo sei mesi. (…)
9. In deroga alla procedura di cui agli articoli 226 e 227, la Commissione o
qualsiasi Stato membro può adire direttamente la Corte di giustizia ove ritenga
che un altro Stato membro faccia un uso abusivo dei poteri contemplati dal
presente articolo.
Dalle suddette disposizioni normative enucleiamo i seguenti principi:
· uno Stato membro dell'Unione europea può mantenere o introdurre disposizioni
che prevalgano
sulla norma armonizzata comunitaria solo e in quanto ciò sia giustificato da
importanti esigenze, indicate nello stesso Trattato;
· vi è l'obbligo di notificare tali disposizioni nazionali alla Commissione
europea, fornendo le motivazioni del mancato recepimento delle norme
armonizzate comunitarie;
· la Commissione verifica se le disposizioni nazionali costituiscano uno
strumento di discriminazione arbitraria oppure una restrizione dissimulata nel
commercio tra gli Stati membri e se rappresentino un ostacolo al funzionamento
del mercato interno;
· la Commissione, come pure un qualunque altro Stato membro dell'Unione,
possono adire la Corte di Giustizia nel caso si presumi un abuso dello Stato
che non ha recepito le norme armonizzare comunitarie.
12. CONCLUSIONI
Con riferimento a quanto abbiamo ora letto (relativamente agli articoli del
trattato di Roma), l'Italia ha scelto di mantenere le proprie disposizioni
nazionali (le prescrizioni relative alle frequenze utilizzabili in Italia dai
ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva, introdotte nell'ordinamento
con i due D.M. 25.6.1985 e 27.8.1987 e mantenute in vigore dal D.M. 548 del
28.8.1995): per farlo, però, ha dovuto surrettiziamente trasferire tale
illegittima normativa dal settore della “prevenzione ed eliminazione dei
disturbi radioelettrici” (divenuta ormai di competenza comunitaria con il nome
di ) ad altro non meglio identificato e
sorretto da una altrettanto non precisata “esigenza di mantenere le
prescrizioni relative alle frequenze” (aggirando così ogni successivo
intervento dell'Unione europea).
Al paragrafo 6 abbiamo affermato che non è ragionevole che fabbricanti,
importatori e, soprattutto, possessori di ricevitori BC debbano sottostare alle
stesse limitazioni previste per gli utilizzatori delle bande di frequenze, in
quanto tali limitazioni vanno a disciplinare le emissioni o le ricetrasmissioni
su tali frequenze, e non la semplice attività di ricezione. Riteniamo che non
vi sia dubbio alcuno sulla profonda differenza di comportamento tra colui che
trasmetta o disturbi le emissioni sulle bande riservate (a servizi diversi da
quello di radiodiffusione) e colui che invece le ascolti casualmente, cercando
ad esempio una lontana stazione del Sud America.
Lo Stato italiano, per mantenere a sé la disciplina dei limiti delle bande di
frequenza, ha inventato un'esigenza assolutamente immotivata e pertanto
totalmente ingiustificata. Tutto ciò mediante lo strumento della normazione
secondaria, impedendo così il ricorso alla Corte costituzionale possibile solo
per le leggi e gli atti aventi forza di legge.
La Commissione europea non è mai intervenuta, non è detto, però, che non possa
aprire una procedura d'infrazione a carico del Governo italiano a seguito di
denuncia che chiunque potrebbe presentare presso la Commissione medesima,
invocando il diritto di chiamare in causa uno Stato membro contro un
provvedimento (legislativo, regolamentare o amministrativo) o contro una prassi
imputabile a tale Stato che il denunciante ritenga contrari ad una disposizione
o ad un principio del diritto comunitario (vedi
http://www.eu.int/comm/secretariat_general/sgb/lexcomm/index_it.htm).
Forse il vulnus del diritto al radioascolto potrà essere sanato seguendo la via
- forse meno nobile ma certamente più sentita nei palazzi comunitari -
dell'affermazione della libertà di commercio dei ricevitori della
radiodiffusione.
Pubblicato su filodiritto il 18/02/2006
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