Bisogna innanzitutto precisare che tutta la normativa di carattere generale in materia di radiodiffusione sonora, adottata dallo Stato italiano negli ultimi trent'anni (dalla legge n. 103 del 1975 al decreto legislativo n. 177 del 2005) ha sempre disciplinato le emittenti broadcasting private senza distinzione alcuna tra le bande di frequenza utilizzabili.Questo anche se tutte le battaglie contro il monopolio radiotelevisivo abbiano sempre avuto come protagoniste le radio in modulazione di frequenza. Stesse disciplina, conseguentemente, tanto per le stazioni in FM come per quelle in onde medie, purché la trasmissione dei relativi programmi venga effettuata "nelle bande di frequenze previste per detti servizi dal vigente Regolamento delle radiocomunicazioni dell'Unione internazionale delle telecomunicazioni" (art. 19 del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 255). E' anche vero, però, che la normativa di questi ultimi anni pur continuando a citare anche la tecnica analogica spende gran parte dei propri articolati a disciplinare le emissioni in tecnica digitale. Prendendo in esame la radiodiffusione privata, due sono le disposizioni fondamentali, entrambe contenute nel vigente "Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici" , emanato con decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177: "Art. 24 (Durata e limiti delle concessioni e autorizzazioni radiofoniche su frequenze terrestri in tecnica analogica) 1.Fino all'adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica di cui all'articolo 42, comma 10, la radiodiffusione sonora privata in àmbito nazionale e locale su frequenze terrestri in tecnica analogica è esercitata in regime di concessione o di autorizzazione con i diritti e gli obblighi stabiliti per il concessionario dalla legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, da parte dei soggetti legittimamente operanti (
) alla data del 30 settembre 2001 (
). Art. 42 (Uso efficiente dello spettro elettromagnetico e pianificazione delle frequenze) (
) 10. L'Autorità adotta il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica successivamente all'effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato. (
)". Le suddette disposizioni normative dicono, in sostanza, che solamente le emittenti esistenti alla data del 30 settembre 2001 possono continuare a trasmettere in attesa del nuovo piano di assegnazione delle frequenze analogiche e che tale ultimo piano sarà adottato solo dopo un generico sviluppo del mercato della radio digitale. A chi si applicano tali disposizioni? Indubbiamente alla radio in FM (in riferimento alle quali sappiamo che non è possibile il rilascio di nuove concessioni, ma solamente il trasferimento di impianti, di rami di azienda o dell'intera emittente da un concessionario all'altro, oppure l'acquisizione da parte di società di capitali), ma anche alle stazioni in onde medie (considerato il carattere generale della disposizione normativa, come ho osservato fin dall'inizio). Quindi, con una lettura semplicemente "legalistica" delle citate disposizioni, le emittenti italiane in onde medie di recente attivazione sarebbero tutte illegittime e passibili di spegnimento, in quanto soggetti non esistenti alla data del 30 settembre 2001. A meno che i soggetti titolari delle nuove emittenti non siano già titolari di concessione radiofonica in FM) ed abbiano chiesto - ai sensi dell'art. 2 bis, comma 3, del decreto-legge del 23 gennaio 2005, n. 5 convertito in legge 20 marzo 2001, n. 66 - l'abilitazione alla sperimentazione di trasmissioni radiofoniche in tecnica digitale.
La legge parla però di tecnica digitale, mentre le trasmissioni in onde medie non sono solo in DRM ma anche in tecnica analogica. Quindi anche questa chiave di lettura non è del tutto soddisfacente. Ad ogni modo, se si adotta una lettura "costituzionalmente orientata" (come peraltro è stato fatto con le prime radio e tv libere degli anni '70), è certo che tutte le emittenti radiofoniche private devono vedersi garantite la libertà ed il pluralismo dei mezzi di comunicazione, inclusa la libertà di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere (art. 3 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici , emanato con decreto legislativo n. 177 del 2005). Si tratta di princìpi di diritto che corrono sempre il rischio di essere disattesi dai provvedimenti amministrativi, con una grossa differenza, però, rispetto al passato: tali princìpi sono ora inseriti in testi di legge, con la possibilità di essere direttamente invocabili dinanzi ai giudici e da questi ultimi direttamente applicati, senza dover ricorrere a contrastate interpretazioni risolvibili solamente dalla Corte costituzionale. Ad un provvedimento di chiusura, un ricorso delle emittenti dinanzi al T.A.R. potrebbe ben opporre quanto segue: - la mancanza (per chissà quanto tempo) di un piano di assegnazione delle frequenze analogiche non può certo sospendere a tempo indefinito il diritto di trasmettere in onde medie; - il fatto che nella gamma delle onde medie non vi sia attualmente complice la riduzione dei programmi in onde medie alla sola Rai Radio 1 e la conseguente riduzione dei siti trasmittenti nel territorio italiano - un problema di affollamento, con il solo obbligo, pertanto, oltre a quello di non interferire con le altre stazioni, di non violare le convenzioni internazionali; - la non sussistenza di un problema di "uso efficiente dello spettro elettromagnetico", con conseguente possibilità di assegnazione delle frequenze anche in mancanza del relativo piano. Le stazioni radio di cui parliamo certamente si saranno "fatte vive" con il Dipartimento per le Comunicazioni rivolgendo ad esso la propria dichiarazione di voler iniziare la fornitura di un servizio di comunicazione elettronica, ai sensi dell'art. 25 dell'altro testo normativo fondamentale del nostro settore, cioè del "Codice delle comunicazioni elettroniche" (Decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259). Questa dichiarazione è volta al rilascio della c.d. "autorizzazione generale" a trasmettere. E' importante la terminologia: il Codice parla di "autorizzazione" (e non di "concessione") proprio perché "l'attività di fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica è libera", salvo poche e ben precise limitazioni. Tra queste l'eventuale necessità di ottenere la "concessione (e non autorizzazione) del diritto individuale di uso delle frequenza radio", solo nel caso però queste ultime siano limitate ed il rischio di interferenze dannose non sia trascurabile. Da ultimo, con riferimento alle radiodiffusione sonora in onde corte verso l'estero (di cui al D.P.R. 10 luglio 1995, n. 391) è necessario precisare che essa non è affatto vietata, anzi, è assoggettata al regime autorizzatorio (al quale, come abbiamo visto, è sotteso un diritto e non una semplice aspettativa). Vi sono però particolari condizioni da rispettare, che forse hanno disincentivato gli eventuali interessati a chiedere l'autorizzazione. Tra queste l'assenza dello scopo di lucro e la presenza di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose (art. 1) unitamente al divieto di diffondere programmi che siano stati realizzati per una audience di carattere nazionale (art. 9). (Giorgio Marsiglio per Newslinet.it)
La legge parla però di tecnica digitale, mentre le trasmissioni in onde medie non sono solo in DRM ma anche in tecnica analogica. Quindi anche questa chiave di lettura non è del tutto soddisfacente. Ad ogni modo, se si adotta una lettura "costituzionalmente orientata" (come peraltro è stato fatto con le prime radio e tv libere degli anni '70), è certo che tutte le emittenti radiofoniche private devono vedersi garantite la libertà ed il pluralismo dei mezzi di comunicazione, inclusa la libertà di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere (art. 3 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici , emanato con decreto legislativo n. 177 del 2005). Si tratta di princìpi di diritto che corrono sempre il rischio di essere disattesi dai provvedimenti amministrativi, con una grossa differenza, però, rispetto al passato: tali princìpi sono ora inseriti in testi di legge, con la possibilità di essere direttamente invocabili dinanzi ai giudici e da questi ultimi direttamente applicati, senza dover ricorrere a contrastate interpretazioni risolvibili solamente dalla Corte costituzionale. Ad un provvedimento di chiusura, un ricorso delle emittenti dinanzi al T.A.R. potrebbe ben opporre quanto segue: - la mancanza (per chissà quanto tempo) di un piano di assegnazione delle frequenze analogiche non può certo sospendere a tempo indefinito il diritto di trasmettere in onde medie; - il fatto che nella gamma delle onde medie non vi sia attualmente complice la riduzione dei programmi in onde medie alla sola Rai Radio 1 e la conseguente riduzione dei siti trasmittenti nel territorio italiano - un problema di affollamento, con il solo obbligo, pertanto, oltre a quello di non interferire con le altre stazioni, di non violare le convenzioni internazionali; - la non sussistenza di un problema di "uso efficiente dello spettro elettromagnetico", con conseguente possibilità di assegnazione delle frequenze anche in mancanza del relativo piano. Le stazioni radio di cui parliamo certamente si saranno "fatte vive" con il Dipartimento per le Comunicazioni rivolgendo ad esso la propria dichiarazione di voler iniziare la fornitura di un servizio di comunicazione elettronica, ai sensi dell'art. 25 dell'altro testo normativo fondamentale del nostro settore, cioè del "Codice delle comunicazioni elettroniche" (Decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259). Questa dichiarazione è volta al rilascio della c.d. "autorizzazione generale" a trasmettere. E' importante la terminologia: il Codice parla di "autorizzazione" (e non di "concessione") proprio perché "l'attività di fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica è libera", salvo poche e ben precise limitazioni. Tra queste l'eventuale necessità di ottenere la "concessione (e non autorizzazione) del diritto individuale di uso delle frequenza radio", solo nel caso però queste ultime siano limitate ed il rischio di interferenze dannose non sia trascurabile. Da ultimo, con riferimento alle radiodiffusione sonora in onde corte verso l'estero (di cui al D.P.R. 10 luglio 1995, n. 391) è necessario precisare che essa non è affatto vietata, anzi, è assoggettata al regime autorizzatorio (al quale, come abbiamo visto, è sotteso un diritto e non una semplice aspettativa). Vi sono però particolari condizioni da rispettare, che forse hanno disincentivato gli eventuali interessati a chiedere l'autorizzazione. Tra queste l'assenza dello scopo di lucro e la presenza di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose (art. 1) unitamente al divieto di diffondere programmi che siano stati realizzati per una audience di carattere nazionale (art. 9). (Giorgio Marsiglio per Newslinet.it)