giovedì 5 settembre 2019

Georgia: la stazione radio segreta

Serviva ad interrompere le trasmissioni delle "emittenti nemiche" e chi vi lavorava agiva nel più completo isolamento. La storia, in Georgia, della "Stazione di trasmissione numero 5"

Cinquanta chilometri a nord di Tbilisi si trovano una serie di edifici misteriosi: non hanno nome e non sono indicati sulle mappe ufficiali. La gente del posto si riferisce a questo luogo chiamandolo “Stazione di trasmissione numero 5”.
Nei primi anni '50 più di 100 persone vi vennero trasferite in tutta segretezza da altre parti dell'Unione sovietica. Il loro compito era quello di impedire ai segnali radio di canali ritenuti anti-sovietici di raggiungere il Caucaso. Tra queste vi era la BBC, Voice of America, Radio Liberty, Voice of Israel, Deutsche Welle, Radio Vaticana e canali di stati socialisti ostili però all'Urss come l'albanese Radio Tirana o la cinese Radio Pechino.
La Stazione di trasmissione numero 5 era una delle molte strutture segrete di interferenza radio di cui era costellata l'Unione sovietica. Oggi, a quasi 26 anni dalla dissoluzione dell'Urss, gli ex impiegati vivono ancora in quegli edifici, imprigionati in un vuoto temporale. Il loro ruolo di baluardi contro la propaganda nemica è ora cosa del passato.
La maggior parte di loro erano esperti in telecomunicazioni ed ingegneri radio e sostanzialmente vivevano in isolamento. Un'unica cassetta delle lettere, la numero 22, ero l'unico loro modo per comunicare verso l'esterno. A controllare il loro luogo di lavoro, circondato da un recinto, vi erano guardie armate.
Ai lavoratori della stazione era permesso lasciare gli edifici dove vivevano, ma non erano certo incoraggiati a farlo. All'interno della struttura era presente tutto ciò ci cui si poteva avere bisogno, dal nido al cinema, in modo non avessero bisogno di andare altrove. Potevano andare in vacanza – gratis - anche più volte all'anno: sempre però strettamente controllati.
La Stazione radio era isolata non solo fisicamente ma anche politicamente: riceveva infatti gli ordini direttamente da Mosca. Secondo gli impiegati, molti funzionari georgiani non erano a conoscenza neppure della sua esistenza.

Si seguiva un programma ben definito per boicottare le radio anti-sovietiche. Nel 1953, quando Radio Liberty, finanziata dagli Stai uniti nell'ottica della guerra fredda, ha avviato una programmazione in lingua georgiana l'Unione sovietica ha risposto alzando la posta in gioco. Nella Stazione non solo si operava come censori, ma si è iniziato anche a trasmettere i programmi tradizionali sovietici al pubblico georgiano.
In nessun modo era permesso agli impiegati della stazione di ascoltare le radio “anti-sovietiche” che intercettavano. Ora però ammettono che, la maggior parte di chi abitava presso la stazione radio numero 5, non resisteva a questa tentazione.

Secondo Oleg Panfilov, professore presso la Ilia State University - dove è docente di censura e propaganda - stazioni radio come la numero 5 riuscivano a intercettare e interrompere il 40-60% dei segnali delle emittenti occidentali. Ciononostante, racconta il professore, a volte le notizie passavano e si ricorda che, da ragazzino, andava tra le montagne del suo nativo Tajikistan per riuscire a sentire “le voci del nemico”.
Alcuni dissidenti poi mettevano per iscritto i programmi che si era riusciti ad intercettare. E non erano rari arresti per questo tipo di attività.
Nel periodo poi della Glasnost tutto questo pian piano ha iniziato a sparire. Il boicottaggio delle emittenti straniere è terminato verso la fine del 1988.
Tre anni dopo il collasso dell'Urss la Stazione di trasmissione numero 5 operava come una qualsiasi stazione di trasmissione. Quest'ultima è stata poi smantellata e l'edificio è divenuto u centro di formazione della Free University, fondata dall'ex ministro per le Riforme Kakha Bendukidze.
Gli ex dipendenti, che ancora vivono nelle case che erano state loro assegnate, denunciano che tutto è avvenuto senza che loro non ne fossero mai stati informati.
Oggi circa 50 famiglie vivono ancora qui e si lamentano che lo stato georgiano non tiene per nulla conto della loro situazione, lasciandoli in una situazione di pieno isolamento. Per ottenere gli aiuti sociali, chiedono ora che gli edifici dove vivono vengano riconosciuti come villaggio a se stante oppure che vengano aggregati a quello di Bazaleti, lì vicino.


Chkonia Afraniki, 80 anni, fornitore di equipaggiamenti
"Sono arrivato a lavorare qui subito dopo i miei studi fatti a Tbilisi presso l'Istituto per le telecomunicazioni. Ho speso la maggior parte della mia vita qui, ed ho sposato una collega. Quando la Stazione di trasmissione ha aperto la maggior parte dei dipendenti provenivano da Russia, Ucraina e Stati baltici. Avevano cv molto rigorosi e sono stati portati qui per formare giovani professionisti georgiani. Ad un certo punto è stata concessa anche a me la possibilità di proseguire con gli studi a Mosca. E spesso, in quegli anni, venivamo portati a Mosca o Leningrado per alcuni corsi di formazione. Molti dei primi dipendenti e formatori hanno lasciato la Georgia dopo tre anni. Ciononostante qualcuno è rimasto e qui si è addirittura sposato. Più tardi nella stazione lavoravano più di 100 dipendenti, originari di varie parti della Georgia e dell'Unione sovietica”.



Tsira Chkhikhvadze, 75 anni, tecnico radio
“Lavorare alla Stazione di trasmissione rappresentava una grande responsabilità. Il nostro lavoro veniva controllato molto rigidamente. Gli edici della stazione erano vicini a quelli dove si viveva ma per entrarvi vi era bisogno di ulteriori controlli di sicurezza. Ricordo che una volta ci ha fatto visita l'allora segretario locale del Partito comunista e nemmeno lui sapeva esattamente di cosa ci occupavamo.
Nessuno di noi ha mai scattato una fotografia sul luogo di lavoro, era proibito. Detto questo, spesso andavamo altrove a fare corsi di formazione, escursioni o in vacanza.
E' un peccato che oggi nessuno riconosca questo nostro duro lavoro, fatto in un luogo del tutto isolato. La nostra pensione attuale (circa 74 dollari al mese) non tiene per nulla conto di tutti gli anni che abbiamo lavorato... ma in ogni caso, chi avrebbe immaginato che tutto sarebbe cambiato così?”



Aza Samniahsvili, 84 anni, responsabile amministrativa
“Ricordo ancora il mio primo giorno di lavoro. E' stato il 9 settembre 1955. Ho iniziato come specialista di telecomunicazioni, ma più tardi ho ricoperto numerose mansioni, anche come contabile. La nostra vita era magnifica, non dovevamo mai lasciare questo posto, era tutto qui... asili, scuole elementari, teatro, l'ospedale, il negozio. Ora è tutto in rovina. Anche se ascoltare le trasmissioni del nemico era vietato, noi ogni tanto lo facevamo. Era dura da una parte riuscire ad ascoltare qualcosa e allo stesso tempo impedire agli altri di farlo. Se venivamo scoperti saremmo stati severamente redarguiti e i nostri stipendi abbassati per quel mese”.



Dato Dolishvili, 53 anni, responsabile dei turni
“Di fatto io sono nato qui e fin da quando ero ragazzino ero consapevole che questo non era un posto normale... Mia madre lavorava alla stazione radio e poi ho iniziato a lavorare anch'io qui. Dopo la dissoluzione dell'Unione sovietica la struttura ha continuato ad operare come una normale stazione radio. Ricordo che negli anni '90, quando è iniziata la guerra civile a Tbilisi, l'allora presidente georgiano Zviad Gamsakhurdia fu obbligato a nascondersi in un bunker. Nonostante il Centro Rdio di Tibilisi fosse occupato dalle forze militari di opposizione Gamsakhurdia riuscì, tramite noi, a mandare ai georgiani un messaggio di nuovo anno, perché i suoi oppositori neppure sapevano dell'esistenza di questo luogo”.